Il vescovo di Ragusa: “Lo Stato riconosca le unioni omosessuali”
Ragusa - Un principio di svolta per le unioni omosessuali e la Chiesa? Forse. Di sicuro le parole del vescovo di Ragusa, Paolo Urso, hanno il sapore dell'innovazione. In una intervista alla testata on-line "Quotidiano.net", infatti, il vescovo ha espresso l'auspicio che lo Stato riconosca le unioni omosessuali, anche se alla Chiesa si riservi il giudizio morale.
«Quando due persone decidono, anche se sono dello stesso sesso, di vivere insieme – afferma – è importante che lo Stato riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato – precisa – con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo». Quello delle unioni omosessuali non è l'unico tema affrontato dal vescovo, che ha parlato di una chiesa dalle «porte aperte» anche in tema di immigrazione, pacifismo, convivenze e fecondazione assistita. Ma è sulle unioni il parere più importante. C’è – viene chiesto al vescovo – un ritardo su questi temi? «Uno Stato laico come il nostro – è la risposta – non può ignorare il fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner. Poi la valutazione morale spetterà ad altri».
Già nel 2005, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, mons. Urso dichiarò al Corriere della Sera che sarebbe andato a votare, lasciando libertà di coscienza ai fedeli. Si pose quindi in contrasto con l’allora presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, che aveva invece richiamato la Chiesa all’astensione. Rifarebbe quella scelta? «Senza dubbio la rifarei» risponde. «Sono stato educato – aggiunge – alla laicità dello Stato e al rispetto delle leggi civili. Quando il cittadino è chiamato a compiere delle scelte concrete, il compito della Chiesa è quello di offrire ai fedeli strumenti per decidere in autonomia e consapevolezza. Per questo ho detto alla mia gente: “Informatevi, documentatevi, vedete se questo tipo di soluzioni sono giuste e giudicate voi».
«Quando due persone decidono, anche se sono dello stesso sesso, di vivere insieme – afferma – è importante che lo Stato riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato – precisa – con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo». Quello delle unioni omosessuali non è l'unico tema affrontato dal vescovo, che ha parlato di una chiesa dalle «porte aperte» anche in tema di immigrazione, pacifismo, convivenze e fecondazione assistita. Ma è sulle unioni il parere più importante. C’è – viene chiesto al vescovo – un ritardo su questi temi? «Uno Stato laico come il nostro – è la risposta – non può ignorare il fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner. Poi la valutazione morale spetterà ad altri».
Già nel 2005, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, mons. Urso dichiarò al Corriere della Sera che sarebbe andato a votare, lasciando libertà di coscienza ai fedeli. Si pose quindi in contrasto con l’allora presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, che aveva invece richiamato la Chiesa all’astensione. Rifarebbe quella scelta? «Senza dubbio la rifarei» risponde. «Sono stato educato – aggiunge – alla laicità dello Stato e al rispetto delle leggi civili. Quando il cittadino è chiamato a compiere delle scelte concrete, il compito della Chiesa è quello di offrire ai fedeli strumenti per decidere in autonomia e consapevolezza. Per questo ho detto alla mia gente: “Informatevi, documentatevi, vedete se questo tipo di soluzioni sono giuste e giudicate voi».