Apple è accusata di evasione fiscale, ma ancora una volta è tutto legale. L'eterna questione dei paradisi fiscali
Ultimamente va tanto di moda il tema della lotta all’evasione fiscale a pare che, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, vi sia un moto generale di “caccia” al nemico che non emette la fattura: piccoli commercianti contro consumatori, insomma la classica “guerra tra poveri”. Ma l’evasione fiscale che incide davvero è veramente questa? Fa riflettere a questo proposito l’accusa mossa dal New York Times alla Apple. Pare infatti che il colosso di Cupertino (e di certo non è l’unico esempio, noi avevamo ad esempio trattato il caso di Ikea) abbia escogitato un modo legale, ma poco ortodosso, per pagare meno tasse. Pare che sia stata l’azienda della mela morsicata la pioniera della pratica, poi seguita da molti, del «Double Irish With a Dutch Sandwich».
Evasione fiscale Apple: l’accusa del New York Times
In cosa consiste e dove scatta l’elusione fiscale? Il trucco risiede nell’apertura di due sussidiarie Apple in Irlanda, che ricevono ingenti agevolazioni fiscali dal governo locale. La Apple ha trasferito nell’isola irlandese anche le royalties dei brevetti registrati in California. Secondo la stessa politica ha spostato i profitti alle Virgin Island britanniche, noto paradiso fiscale dei Caraibi. La gestione dei ricavi per le vendite di brani musicali per iTunes è gestita da una società del Lussemburgo per usufruire di agevolazioni fiscali.
Ma le pratiche discutibili non riguardano solo i rapporti con l’estero: la Apple ha infatti aperto una sede amministrativa a Reno, nel Nevada. Il quartier generale resta a Cupertino (mentre è ormai noto che la stragrande maggioranza della produzione si concentra in Cina) ma questa ubicazione permette di risparmiare sull’ aliquota della corporate tax, che in Nevada è uguale a zero e in California ammonterebbe invece a 8,84%.
Grazie al ricorso a queste pratiche la Apple lo scorso anno ha generato profitti pari a 34,2 miliardi di dollari pagando solo 3,3 miliardi di tasse, ad un’aliquota media del 9,8%, e quindi con un risparmio di 2,4 miliardi.
La difesa della Apple
Come prevedibile la Apple ha risposto sottolineando la legalità di questa politica. Cosa peraltro ovvia (certamente a Cupertino potranno permettersi un legale che eviti certe “gaffe”). Il punto non è quanto questo sia legale ma piuttosto moralmente etico, soprattutto in un periodo storico di crisi generale in cui tutti siamo costantemente invitati ad agire coscientemente nei rapporti con il Fisco. Un problema certamente non solo italiano visto che il programma elettorale di Obama si focalizza proprio sull’equità fiscale. Come abbiamo accennato sopra peraltro questi stratagemmi sono piuttosto comuni ma è chiaro che, se associati ad un nome tanto altisonante, facciano più clamore e del resto sarebbero proprio le aziende con il profitto maggiore a dover dare il buon esempio. Nell’ultimo biennio, le 71 società tecnologiche rientranti nell’indice S&P 500 hanno pagato il 33% di tasse in meno rispetto alle società dello stesso indice operanti in diversi settori. Il vantaggio del settore tecnologico è quello di potersi qualificare come un’attività digitale e quindi di poter distribuire la propria ricchezza in diversi stati.