Lo spettro di una crisi alimentare mondiale aleggia sopra le migliaia di ettari di campi di mais e cereali che negli Stati Uniti stanno inaridendo al sole. Oltre mille contee nel Midwest americano (Iowa, Minnesota, Indiana ecc.) pagano così le conseguenze del riscaldamento globale e della siccità che da mesi attanaglia le piantagioni di soia, avena, granoturco. Un terzo della produzione mondiale cerealicola a rischio, con la temibile accoppiata calo produttivo-aumento dei prezzi. L’altro granaio del pianeta, suddiviso tra Russia, Ucraina e Kasakistan, è invece in balìa di alluvioni e nubifragi.
A lanciare l’allarme migliaia di agricoltori statunitensi, che denunciano raccolti disastrosi anche attraverso i social network. Ma sono anche i ricercatori dell’Università dell’Iowa a prospettare un inaridimento del 60 per cento del suolo nordamericano, comprese le aree della Georgia e di parte del Texas. Al di là delle enormi difficoltà che dovranno affrontare le esportazioni, il guaio più grande per l’amministrazione Obama sarà quello dell’incremento dei costi dei generi alimentari e dell’inflazione interna, prevista in aumento nei prossimi mesi e da sempre metro di valutazione degli elettori statunitensi. Per evitare una crisi alimentare simile a quella del 2008 nonché limitare le inevitabili ripercussioni sui portafogli dei consumatori, il governo Obama ha stanziato una serie di aiuti, concedendo prestiti agevolati nei 26 Stati colpiti dalla siccità e dichiarati vittime di “disastro naturale”. Ma nel frattempo i prezzi salgono a dismisura: il mais è arrivato, per esempio, a 794 cents al bushel (la misura della capacità dei cereali, circa 24 kg), un record per l’alimento. Ed è già partita, da parte dei Paesi che importano mais americano, la corsa all’affare migliore aspettando il primo ribasso dei costi; sul “Sole 24 ore” si porta ad esempio il Giappone, che non ha ancora acquistato i 5 milioni di tonnellate di granoturco necessario al fabbisogno nipponico per l’ultima parte dell’anno.
Sebbene trascurato dall’alta finanza e dalle discussioni economiche in tempo di crisi, il calo della produzione cerealicola degli Usa è un dato preoccupante e significativo, anche nell’ambito dell’eterna discussione sui danni a lungo termine che l’uomo moderno ha provocato al pianeta, causando riscaldamento globale ed instabilità climatica.
Nonostante l’impronta industriale dei Paesi sviluppati, è ancora dall’agricoltura che parte tutto: secondo un rapporto stilato dalla Fao, si è calcolato infatti che per fronteggiare l’aumento di popolazione mondiale previsto in futuro, la produzione agricola dovrà crescere del 60 per cento nei prossimi 40 anni. Con le pannocchie bruciate dal sole e il ripetersi di stagioni aride, esiste il rischio concreto che le riserve globali di cibo possano diminuire già dalla fine del 2013.
Sebbene trascurato dall’alta finanza e dalle discussioni economiche in tempo di crisi, il calo della produzione cerealicola degli Usa è un dato preoccupante e significativo, anche nell’ambito dell’eterna discussione sui danni a lungo termine che l’uomo moderno ha provocato al pianeta, causando riscaldamento globale ed instabilità climatica.
Nonostante l’impronta industriale dei Paesi sviluppati, è ancora dall’agricoltura che parte tutto: secondo un rapporto stilato dalla Fao, si è calcolato infatti che per fronteggiare l’aumento di popolazione mondiale previsto in futuro, la produzione agricola dovrà crescere del 60 per cento nei prossimi 40 anni. Con le pannocchie bruciate dal sole e il ripetersi di stagioni aride, esiste il rischio concreto che le riserve globali di cibo possano diminuire già dalla fine del 2013.