Chi è stato bambino negli anni ’80 avrà sicuramente avuto un momento della propria infanzia in cui il desiderio più ardente era rappresentato da uno “schiacciapensieri”. Così chiamati da Polistil, questi semplici giochi elettronici con schermo a cristalli liquidi raggiunsero la loro espressione più compiuta nella serie Game & Watch di Nintendo. A distanza di trent’anni, solo la grande N è ancora l’unica in grado di riuscire a preservare intatto quell’entusiasmo puerile e riversarlo in un’opera contemporanea. Quest’opera prende il nome di Beat The Beat: Rhythm Paradise - più che un canto, una danza del cigno per Nintendo Wii.
CAVIE
Alla base dell’esperienza c’è il ritmo, forse… Visto con gli occhi di un antropologo o di un sociologo illuminati, il titolo di Nintendo ha un che di meccanico e disumanizzante: per tutto il tempo non si fa altro che rispondere in maniera pavloviana agli input forniti dallo schermo (e dall’impianto audio), premendo un solo pulsante (A) o, al massimo, due pulsanti insieme (A+B). Se da un lato ci si sente come topi da laboratorio, dall’altro si ha a che fare con la pura essenza del game design. Un po’ come quando John Lennon affermava che avrebbe voluto comporre una canzone con un’unica nota.
La chiave di tutto è il tempo. E, nel misurare il tempo, Beat the Beat è un direttore implacabile. Non è concesso il minimo sgarro: se il ritmo non scorre nelle vene, si è fuori dal gioco. Cambi improvvisi di ritmo, controtempi, pause inaspettate e disturbi consapevoli (tanto a livello di audio quanto di immagini) rendono l’esperienza ludica un test che mette davvero alla prova il proprio senso musicale, con l’aggravante che un’attività potenzialmente disumanizzante diventa così persino frustrante.
CAVIE
Alla base dell’esperienza c’è il ritmo, forse… Visto con gli occhi di un antropologo o di un sociologo illuminati, il titolo di Nintendo ha un che di meccanico e disumanizzante: per tutto il tempo non si fa altro che rispondere in maniera pavloviana agli input forniti dallo schermo (e dall’impianto audio), premendo un solo pulsante (A) o, al massimo, due pulsanti insieme (A+B). Se da un lato ci si sente come topi da laboratorio, dall’altro si ha a che fare con la pura essenza del game design. Un po’ come quando John Lennon affermava che avrebbe voluto comporre una canzone con un’unica nota.
La chiave di tutto è il tempo. E, nel misurare il tempo, Beat the Beat è un direttore implacabile. Non è concesso il minimo sgarro: se il ritmo non scorre nelle vene, si è fuori dal gioco. Cambi improvvisi di ritmo, controtempi, pause inaspettate e disturbi consapevoli (tanto a livello di audio quanto di immagini) rendono l’esperienza ludica un test che mette davvero alla prova il proprio senso musicale, con l’aggravante che un’attività potenzialmente disumanizzante diventa così persino frustrante.