Djokovic liquida un Fognini mai in partita in meno di un'ora (51 minuti): 6-2, 6-1 il finale di un match mai incominciato. Per il serbo in finale la super-sfida con Rafa Nadal
Cosa raccontare di un match durato 51 minuti, dove un giocatore ha portato via solo 3 game e, sul servizio dell’avversario, si è spinto una sola volta oltre il quindici? Sta probabilmente tutta qui la storia della sfida tra Djokovic e Fognini. Una partita che non c’è mai stata, un mismatch evidente, una superiorità mai in discussione… e tanti cari saluti alle speranze italiche.
Speranze però, giusto dirlo, assolutamente lecite. O almeno, lecite alla vigilia. Fognini era arrivato fino alla semifinale giocando il suo miglior tennis di carriera mentre Djokovic, dall’altra parte, aveva infilato la peggior settimana del 2013, rischiando grosso nei primi turni sia con Youznhy che con Monaco. Eppure, tutto ciò, non è servito.
Il merito va soprattutto a Novak Djokovic che come spesso gli accade, nei momenti importanti, ha saputo trasformarsi. Del giocatore poco mobile e quasi impacciato dei primi turni non si è vista nemmeno l’ombra. Il serbo, conscio della gran settimana che aveva spinto Fognini fino alla prima semifinale di un Masters 1000 in carriera, scende in campo assolutamente concentrato e reattivo. E per Fognini, inutile nasconderlo, non c’è stato assolutamente nulla da fare.
Sul servizio, il serbo, è infatti una macchina da guerra. Prime, gioco d’attacco e piedi quasi praticamente sulla linea di fondo sono un gioco a cui Fognini non può partecipare. Se poi a Djokovic la strada va subito in discesa, la “lezione” di meno di un’ora è presto spiegata. Il ragazzo di Belgrado ha infatti trovato il break nei primi turni di servizio di Fognini sia del primo che del secondo set, e libero di fare gara di testa ha giocato con una tranquillità che ha permesso una sola volta al ligure di andare oltre il quindici quando doveva rispondere.
Insomma, questa la storia di una sfida dove Fognini ha potuto poco e oggettivamente fatto poco; qualche bel punto, un paio di recuperi fine a se stessi, ma niente di più contro un avversario capace di non sbagliare nulla. Ecco quindi spiegati, di nuovo, i cinquantuno minuti. Ecco quindi arrivati, a fine partita, i fischi – ingenerosi – di un pubblico desideroso di assistere a una partita. Non se ne rammarichino però. In finale contro Nadal, ne siamo certi, la troveranno.
Cosa raccontare di un match durato 51 minuti, dove un giocatore ha portato via solo 3 game e, sul servizio dell’avversario, si è spinto una sola volta oltre il quindici? Sta probabilmente tutta qui la storia della sfida tra Djokovic e Fognini. Una partita che non c’è mai stata, un mismatch evidente, una superiorità mai in discussione… e tanti cari saluti alle speranze italiche.
Speranze però, giusto dirlo, assolutamente lecite. O almeno, lecite alla vigilia. Fognini era arrivato fino alla semifinale giocando il suo miglior tennis di carriera mentre Djokovic, dall’altra parte, aveva infilato la peggior settimana del 2013, rischiando grosso nei primi turni sia con Youznhy che con Monaco. Eppure, tutto ciò, non è servito.
Il merito va soprattutto a Novak Djokovic che come spesso gli accade, nei momenti importanti, ha saputo trasformarsi. Del giocatore poco mobile e quasi impacciato dei primi turni non si è vista nemmeno l’ombra. Il serbo, conscio della gran settimana che aveva spinto Fognini fino alla prima semifinale di un Masters 1000 in carriera, scende in campo assolutamente concentrato e reattivo. E per Fognini, inutile nasconderlo, non c’è stato assolutamente nulla da fare.
Sul servizio, il serbo, è infatti una macchina da guerra. Prime, gioco d’attacco e piedi quasi praticamente sulla linea di fondo sono un gioco a cui Fognini non può partecipare. Se poi a Djokovic la strada va subito in discesa, la “lezione” di meno di un’ora è presto spiegata. Il ragazzo di Belgrado ha infatti trovato il break nei primi turni di servizio di Fognini sia del primo che del secondo set, e libero di fare gara di testa ha giocato con una tranquillità che ha permesso una sola volta al ligure di andare oltre il quindici quando doveva rispondere.
Insomma, questa la storia di una sfida dove Fognini ha potuto poco e oggettivamente fatto poco; qualche bel punto, un paio di recuperi fine a se stessi, ma niente di più contro un avversario capace di non sbagliare nulla. Ecco quindi spiegati, di nuovo, i cinquantuno minuti. Ecco quindi arrivati, a fine partita, i fischi – ingenerosi – di un pubblico desideroso di assistere a una partita. Non se ne rammarichino però. In finale contro Nadal, ne siamo certi, la troveranno.