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La Regione ignora i tagli ai seggi comunali decisi a livello nazionale: agli enti più piccoli 12 anziché 6


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ROMA - Non ce l'aveva fatta nemmeno la Santa Inquisizione. Poteva forse un qualunque governo italiano riuscire nell'impresa di tagliare in Sicilia posti e benefici, fossero anche quelli di qualche consigliere comunale? Correva l'anno 1577: arrivato a Palermo come Viceré di Spagna, Marcantonio Colonna ebbe subito modo di fare conoscenza con l'autonomia siciliana. La riforma dell'Inquisizione, voluta dal Sant'Uffizio per evitare il moltiplicarsi di privilegi a vantaggio dei suoi esponenti, nell'isola non era mai entrata in vigore. Così la pletora già abnorme degli inquisitori, pari a 1.572, aveva esteso di riflesso le proprie guarentigie a una cerchia immensa di famigli che contava non meno di 24 mila persone: numero, guarda caso, non troppo lontano da quello raggiunto in epoca ben più recente dai dipendenti della Regione. Come raccontano nel loro bel libro La Zavorra Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria, il Viceré non riuscì neppure a scalfirla, assistendo invece impotente al varo di una nuova riforma che lasciò intatti i privilegi dell'Inquisizione siciliana.

Capaci di resistere perfino ai Torquemada spagnoli, che ricorrevano a metodi ben più convincenti di quelli dello Stato italiano, quattro secoli e mezzo più tardi nessuno si è fatto impressionare da una legge nazionale sulla sforbiciata dei consiglieri comunali. Ed ecco subito pronta una scialuppa di salvataggio per 834 poltroncine. Qualcuna addirittura insignificante. Ma sempre meglio che niente, soprattutto in un momento come questo. Alle elezioni amministrative di domenica e lunedì, convocate per il rinnovo di 142 municipi siciliani, sono stati eletti 2.281 consiglieri: se si fossero applicati i parametri stabiliti dalle leggi che hanno ridotto il numero dei seggi comunali in rapporto agli abitanti, il loro numero sarebbe stato di 1.447.

Il conto l'ha fatto Antonio Leo sul Quotidiano di Sicilia , ricordando quanto già accaduto in occasione delle amministrative del 2012, quelle che avevano incoronato nuovamente Leoluca Orlando sindaco di Palermo. La conseguenza della mancata adozione dei criteri nazionali aveva fatto eleggere allora 845 consiglieri comunali in più rispetto agli standard. Il che porta a 1.679 il numero dei seggi in eccesso accumulatisi negli enti locali siciliani nel giro di poco più di un anno. Senza dire dell'aggravio di spesa che l'aggiramento delle leggi statali comporterà. In cinque anni, ha stimato il giornale, centoquaranta milioni tondi: somma corrispondente ai tagli che erano previsti per l'università e la ricerca pubblica nel 2014. Oppure al 10 per cento dell'intero stanziamento statale annuale per i Beni culturali.

Per capire come si è giunti a questo, facciamo un passo indietro. A dicembre del 2009 il Parlamento approva la legge finanziaria che taglia del 20 per cento il numero dei consiglieri comunali, riduce le circoscrizioni, elimina i difensori civici e alcune forme consortili, prevedendo pure che le Regioni a statuto speciale come quella siciliana si adeguino quanto prima. Sette mesi dopo un'altra rasoiata, questa volta ai gettoni, alle indennità e ai doppi e tripli emolumenti.

La risposta siciliana è tutta in una circolare firmata il 13 gennaio del 2011 dall'assessore alle autonomie locali della precedente giunta regionale, Caterina Chinnici, sull'«applicabilità agli enti locali della Sicilia delle norme statali in materia (...) di riduzione del costo degli apparati politici amministrativi». Un documento che si conclude con queste lapidarie parole: «Gli enti locali continueranno ad applicare, in relazione agli istituti delle sopra richiamate norme statali, in atto non recepite dal legislatore regionale, la normativa vigente nella Regione siciliana». Le «norme statali» sono appunto quelle due leggi, che secondo la circolare «non trovano applicazione nell'ordinamento regionale» in quanto «seppur finalizzate alla riduzione dei costi connessi al funzionamento degli organi rappresentativi ed esecutivi degli enti locali, refluiscono in maniera rilevante sullo status di amministratore locale e sull'assetto ordinamentale ed organizzativo degli enti medesimi». Insomma, rappresenterebbero un'entrata a gamba tesa su una «materia riservata alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana». Cadono quindi nel vuoto. Stessa sorte tocca alla seconda manovra estiva del 2011, l'ultima del governo di Silvio Berlusconi, che inasprisce ulteriormente il giro di vite per i consigli comunali. A dimostrazione, e questo è il punto, di come talvolta uno statuto speciale possa trasformarsi in una comoda barriera a difesa di privilegi pur banali.

E dove nulla possono gli appelli alla sacralità dell'autonomia regionale, entrano in campo stratagemmi gattopardeschi. La Regione siciliana ha dovuto per forza recepire la norma nazionale che riduce il numero dei consiglieri regionali, con conseguente dimagrimento dell'assemblea isolana da 90 a 70 membri? Prima che la Camera possa ratificare la legge regionale piombano a palazzo dei Normanni le dimissioni del governatore Raffaele Lombardo. Le elezioni vanno anticipate solo di qualche mese, ma tanto basta per andare a votare con le vecchie regole: i 90 seggi sono salvi per altri cinque anni. E pazienza se lo scherzetto ci costerà 5 milioni l'anno solo di stipendi, diarie e rimborsi.

Non che tale creatività sia una prerogativa esclusiva siciliana. Basta ricordare che soltanto qualche mese fa il Comune di Roma ha ridotto da 19 a 15 le circoscrizioni in cui è suddiviso il municipio, con la giustificazione di risparmiare sui costi dell'amministrazione. Peccato però che all'accorpamento degli uffici abbia corrisposto l'immediato incremento del numero degli «assessorini». Con il risultato che i posti lieviteranno dagli attuali 95 a 105. Ma certe vette sono destinate a restare inarrivabili. Nella sua inchiesta sul Quotidiano di Sicilia Leo sottolinea che il Comune di Catania, appena riconquistato dopo tredici anni di governo di centrodestra dall'ex margheritino Enzo Bianco, ha 45 consiglieri, nove in più di quanti sarebbero previsti dai parametri nazionali. Mentre il Campidoglio, che quelli non può invece eludere, ne ha 48: ma con 2,8 milioni di abitanti contro i 291 mila del capoluogo etneo. Quasi dieci volte di più. Per non parlare di Bompensiere, 611 abitanti in provincia di Caltanissetta, che ha potuto eleggere ben dodici consiglieri anziché sei: uno ogni cinquanta anime. E hanno il coraggio di dire che c'è la crisi della politica...

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Anche io faccio parte dei quei consiglieri 1h1h1h1h1h

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looooooooooooooool

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cavoli sono tantissimi
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