Apple, la multinazionale californiana che produce l’iPhone e il Mac e fondata dal compianto Steve Jobs, è finita nel mirino della Procura di Milano per una presunta frode fiscale per un imponibile non dichiarato di oltre un miliardo di euro. Non è la prima volta che uno dei grandi gruppi mondiali dell’high tech finisce nel occhio del ciclone per ipotesi di tasse non versate al Erario italiano, tanto che un anno fa circa era comparso sulle cronache il caso di Google Italia per una serie di accertamenti da parte della GDF. In relazione alla filiale italiana della più famosa `mela´ del mondo, però, gli inquirenti milanesi hanno già individuato gli estremi penali, tanto che, da quanto si è saputo, due manager di Apple Italia, verosimilmente coloro che si sono occupati dei bilanci, sono finiti nel registro degli indagati con l’accusa di dichiarazione fraudolenta dei redditi. E alcuni giorni fa i funzionari dell’ Agenzia delle Dogane, con compiti di polizia giudiziaria, sono andati nelle sede della società in piazza San Babila, a Milano, per una perquisizione portando via materiale cartaceo e informatico. Un sequestro contro cui hanno fatto ricorso al Tribunale del Riesame i legali di Apple.
Il meccanismo fraudolento su cui stanno indagando il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri parte da una costruzione societaria simile a quella di tanti `colossi´ dell’informatica, con la `testa´ negli Usa e basi in diversi Paesi d’Europa: una società di servizi in Italia, che dichiara pochi redditi, e una società commerciale in Irlanda, che si prende in carico gli «elementi attivi» vista la tassazione più favorevole. Secondo l’accusa, infatti, i profitti realizzati in Italia da Apple sarebbero stati messi in conto alla società di diritto irlandese Apple Sales International. Così facendo, sempre secondo i pm, Apple Italia non avrebbe dichiarato al Fisco italiano un imponibile di circa 206 milioni di euro nel 2010 e di oltre 850 milioni di euro nel 2011 per un totale di oltre un miliardo. Gli inquirenti ora stanno cercando di conteggiare l’esatto ammontare della presunta imposta evasa su quell’imponibile, ma avrebbero già individuato lo schema organizzativo della presunta frode, che sarebbe stata messa in atto con false scritture contabili. Da qui le contestazioni ai due manager e le perquisizioni. Già la scorsa estate, tra l’altro, era stato calcolato che Apple – finita anche sotto accusa negli Usa per le sue aggressive politiche fiscali – nel 2012 aveva versato in tasse allo Stato italiano 3 milioni di euro, cifra irrisoria se paragonata ai 41,7 miliardi di dollari di profitti realizzati nello stesso anno a livello globale. In linea, comunque, con altri `giganti´ come Google, Amazon e Facebook, tanto che in Italia, ma anche in altri Paesi europei, si sta discutendo ormai da tempo di `web tax´, ossia di introdurre norme per far pagare ai grandi gruppi dell’informatica le tasse per ciò che guadagnano sul mercato italiano (o di altri Paesi che non siano l’Irlanda e gli Usa).
Il meccanismo fraudolento su cui stanno indagando il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri parte da una costruzione societaria simile a quella di tanti `colossi´ dell’informatica, con la `testa´ negli Usa e basi in diversi Paesi d’Europa: una società di servizi in Italia, che dichiara pochi redditi, e una società commerciale in Irlanda, che si prende in carico gli «elementi attivi» vista la tassazione più favorevole. Secondo l’accusa, infatti, i profitti realizzati in Italia da Apple sarebbero stati messi in conto alla società di diritto irlandese Apple Sales International. Così facendo, sempre secondo i pm, Apple Italia non avrebbe dichiarato al Fisco italiano un imponibile di circa 206 milioni di euro nel 2010 e di oltre 850 milioni di euro nel 2011 per un totale di oltre un miliardo. Gli inquirenti ora stanno cercando di conteggiare l’esatto ammontare della presunta imposta evasa su quell’imponibile, ma avrebbero già individuato lo schema organizzativo della presunta frode, che sarebbe stata messa in atto con false scritture contabili. Da qui le contestazioni ai due manager e le perquisizioni. Già la scorsa estate, tra l’altro, era stato calcolato che Apple – finita anche sotto accusa negli Usa per le sue aggressive politiche fiscali – nel 2012 aveva versato in tasse allo Stato italiano 3 milioni di euro, cifra irrisoria se paragonata ai 41,7 miliardi di dollari di profitti realizzati nello stesso anno a livello globale. In linea, comunque, con altri `giganti´ come Google, Amazon e Facebook, tanto che in Italia, ma anche in altri Paesi europei, si sta discutendo ormai da tempo di `web tax´, ossia di introdurre norme per far pagare ai grandi gruppi dell’informatica le tasse per ciò che guadagnano sul mercato italiano (o di altri Paesi che non siano l’Irlanda e gli Usa).