Ebola è uno dei virus più temuti dalla gente comune. È stato reso famoso da film hollywoodiani che descrivono stragi su scala mondiale. Attualmente ne è in atto un focolaio in Africa Occidentale. Il numero dei casi sospetti o confermati di Ebola in Guinea ha superato i 150, con circa 100 decessi. Almeno venti casi sono segnalati dalla Liberia a tutt’oggi. Casi sospetti vengono riportati dal Mali e dalla Sierra Leone. Le probabilità che possa diffondersi comunque al di fuori dell’area geografica in cui si è manifestato sono del tutto trascurabili, a detta di tutte le fonti autorevoli. La situazione appare del tutto sotto controllo.
Le indagini virologiche hanno identificato un nuovo ceppo affine a quello Zaire (EBOV) DOI: 10.1056/NEJMoal1404505. A scopo di riconoscimento di casi sospetti, sono in uso negli aeroporti della Guinea dei termometri elettronici, per identificare all’imbarco passeggeri febbrili. Il focolaio della Guinea è insorto nelle regioni rurali del Sud Est, piuttosto remote. In queste zone il contatto a scopo alimentare o di altro genere con primati o con pipistrelli frugivori ammalati potrebbe aver innescato il salto di specie. È stato infatti proibito il consumo di zuppe di pipistrelli, considerate una prelibatezza in quei luoghi. In realtà il virus ha una tendenza diffusiva fra gli esseri umani mediocre. Infatti dozzine di contatti di un caso contagioso rimangono del tutto asintomatici. Una tipica fonte di infezione in Africa è però determinata dal toccare e manipolare le salme dei parenti deceduti da parte dei membri dei nuclei familiari e in tale occasione, se il morto era affetto da Ebola, l’epidemia può prendere vigore. Le cure non sono ritenute in genere suscettibili di migliorare il decorso clinico della malattia. Qualcosa però si sta muovendo anche in questo campo. Sulla falsariga di quello che viene correntemente utilizzato nella terapia dell’AIDS e che ha già salvato milioni di vite, si ipotizza l’impiego di analoghi nucleosidici in funzione antivirale. Il nome di un composto che verrà presto sperimentato è BCX4430. Si ipotizza anche l’uso di farmaci bloccanti gli estrogeni, come il clomifene o clomid. Altri farmaci allo studio comprendono gli siRNA (small interfering RNA); vaccini in funzione terapeutica; anticorpi monoclonali.
Data la potenziale pericolosità di questa malattia da tempo si è cercato da parte degli organismi sanitari internazionali di allargare il campo delle ricerche e di interessare studiosi di discipline diverse, anche umanistiche, per cercare di modificare quei comportamenti umani, che abbiamo visto, possono garantire al virus la diffusione e la riproduzione di nuovi focolai. Mi ha particolarmente interessato l’impiego di antropologi medici nella lotta contro il virus Ebola. Essi vengono infatti abitualmente coinvolti nello studio e nel controllo di svariate malattie infettive e parassitarie.
Analogamente pertanto sono stati impiegati allo scopo di identificare i comportamenti a rischio e migliorare l’atteggiamento delle popolazioni nei confronti della infezione da Ebola. Si analizzano le dinamiche legate alla percezione del pericolo, dei sentimenti elaborati in relazione all’avvento delle epidemie e della conseguente capacità di risposta alla malattia da parte della popolazione locale. Il sapere accumulato in tali ricerche complesse può successivamente essere riutilizzato in vari aspetti che riguardano direttamente il controllo epidemiologico, la clinica, la raccolta dei campioni di laboratorio, la comunicazione di tematiche sanitarie, il seppellimento dei defunti.
In secondo luogo gli antropologi medici coadiuvano nell’identificazione di pratiche cliniche e di interventi profilattici da evitare in quanto non culturalmente appropriati. Ultimamente a dire il vero alcuni studiosi come Jarred hanno criticato questo punto di vista unicamente tecnico, socio-psicologico, come quello descritto, perché, a loro modo di vedere, insufficiente a spiegare il diffondersi talora incontrastato di questi focolai improvvisi .
Essi contestano infatti che Ebola sia stato eccessivamente reso esotico, poiché associato a pratiche ” tradizionali”, ai costumi locali , e a “credenze ” culturali e che l’insorgere dei focolai epidemici siano l’esito dell’ ignoranza e dell’arretratezza dell’Africa. Infatti, la cultura tradizionale prevalente si riconfigurerebbe in una sorta di “fattore di rischio”. La cultura africana quindi rappresenterebbe un ostacolo alla prevenzione e al controllo dell’epidemia, a causa di quelle pratiche tradizionali menzionate in precedenza e cioè il consumo di carne di animali selvatici, come i pipistrelli e le pratiche di sepoltura. Ma questa enfasi è fuorviante. Si darebbe per scontata l’idea di un’alterità africana, in base alla quale sarebbero le credenze ed i comportamenti primitivi a giustificare l’aumento della probabilità di insorgenza e di diffusione di Ebola, assecondando la logica culturalista dominante.
Assente invece dalla spiegazione ufficiale sarebbe quindi stata l’attenzione a fattori strutturali più grandi che determinano il corso di epidemie, come l’attuale di Ebola. La disuguaglianza e la carenza di assistenza sanitaria, radicate in quelle società ed esacerbate dal retaggio del colonialismo, la geopolitica neocolonialista delle superpotenze e lo sviluppo neoliberista, sarebbero, in base a queste diverse argomentazioni, le vere responsabili di gran parte della diffusione di Ebola. Sia pure condividendo gran parte di questo punto di vista, sarei più cauto nell’affermare che i poteri del capitalismo “tout court” siano direttamente responsabili delle singole vittime dell’attuale epidemia di Ebola. Devo però convenire che la situazione generale sanitaria dell’Africa risente delle condizioni socio-economiche strutturali del mondo globalizzato. Il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti dei paesi africani, ne sono convinto, automaticamente estinguerà i focolai di tutte le malattie “esotiche”.
Le indagini virologiche hanno identificato un nuovo ceppo affine a quello Zaire (EBOV) DOI: 10.1056/NEJMoal1404505. A scopo di riconoscimento di casi sospetti, sono in uso negli aeroporti della Guinea dei termometri elettronici, per identificare all’imbarco passeggeri febbrili. Il focolaio della Guinea è insorto nelle regioni rurali del Sud Est, piuttosto remote. In queste zone il contatto a scopo alimentare o di altro genere con primati o con pipistrelli frugivori ammalati potrebbe aver innescato il salto di specie. È stato infatti proibito il consumo di zuppe di pipistrelli, considerate una prelibatezza in quei luoghi. In realtà il virus ha una tendenza diffusiva fra gli esseri umani mediocre. Infatti dozzine di contatti di un caso contagioso rimangono del tutto asintomatici. Una tipica fonte di infezione in Africa è però determinata dal toccare e manipolare le salme dei parenti deceduti da parte dei membri dei nuclei familiari e in tale occasione, se il morto era affetto da Ebola, l’epidemia può prendere vigore. Le cure non sono ritenute in genere suscettibili di migliorare il decorso clinico della malattia. Qualcosa però si sta muovendo anche in questo campo. Sulla falsariga di quello che viene correntemente utilizzato nella terapia dell’AIDS e che ha già salvato milioni di vite, si ipotizza l’impiego di analoghi nucleosidici in funzione antivirale. Il nome di un composto che verrà presto sperimentato è BCX4430. Si ipotizza anche l’uso di farmaci bloccanti gli estrogeni, come il clomifene o clomid. Altri farmaci allo studio comprendono gli siRNA (small interfering RNA); vaccini in funzione terapeutica; anticorpi monoclonali.
Data la potenziale pericolosità di questa malattia da tempo si è cercato da parte degli organismi sanitari internazionali di allargare il campo delle ricerche e di interessare studiosi di discipline diverse, anche umanistiche, per cercare di modificare quei comportamenti umani, che abbiamo visto, possono garantire al virus la diffusione e la riproduzione di nuovi focolai. Mi ha particolarmente interessato l’impiego di antropologi medici nella lotta contro il virus Ebola. Essi vengono infatti abitualmente coinvolti nello studio e nel controllo di svariate malattie infettive e parassitarie.
Analogamente pertanto sono stati impiegati allo scopo di identificare i comportamenti a rischio e migliorare l’atteggiamento delle popolazioni nei confronti della infezione da Ebola. Si analizzano le dinamiche legate alla percezione del pericolo, dei sentimenti elaborati in relazione all’avvento delle epidemie e della conseguente capacità di risposta alla malattia da parte della popolazione locale. Il sapere accumulato in tali ricerche complesse può successivamente essere riutilizzato in vari aspetti che riguardano direttamente il controllo epidemiologico, la clinica, la raccolta dei campioni di laboratorio, la comunicazione di tematiche sanitarie, il seppellimento dei defunti.
In secondo luogo gli antropologi medici coadiuvano nell’identificazione di pratiche cliniche e di interventi profilattici da evitare in quanto non culturalmente appropriati. Ultimamente a dire il vero alcuni studiosi come Jarred hanno criticato questo punto di vista unicamente tecnico, socio-psicologico, come quello descritto, perché, a loro modo di vedere, insufficiente a spiegare il diffondersi talora incontrastato di questi focolai improvvisi .
Essi contestano infatti che Ebola sia stato eccessivamente reso esotico, poiché associato a pratiche ” tradizionali”, ai costumi locali , e a “credenze ” culturali e che l’insorgere dei focolai epidemici siano l’esito dell’ ignoranza e dell’arretratezza dell’Africa. Infatti, la cultura tradizionale prevalente si riconfigurerebbe in una sorta di “fattore di rischio”. La cultura africana quindi rappresenterebbe un ostacolo alla prevenzione e al controllo dell’epidemia, a causa di quelle pratiche tradizionali menzionate in precedenza e cioè il consumo di carne di animali selvatici, come i pipistrelli e le pratiche di sepoltura. Ma questa enfasi è fuorviante. Si darebbe per scontata l’idea di un’alterità africana, in base alla quale sarebbero le credenze ed i comportamenti primitivi a giustificare l’aumento della probabilità di insorgenza e di diffusione di Ebola, assecondando la logica culturalista dominante.
Assente invece dalla spiegazione ufficiale sarebbe quindi stata l’attenzione a fattori strutturali più grandi che determinano il corso di epidemie, come l’attuale di Ebola. La disuguaglianza e la carenza di assistenza sanitaria, radicate in quelle società ed esacerbate dal retaggio del colonialismo, la geopolitica neocolonialista delle superpotenze e lo sviluppo neoliberista, sarebbero, in base a queste diverse argomentazioni, le vere responsabili di gran parte della diffusione di Ebola. Sia pure condividendo gran parte di questo punto di vista, sarei più cauto nell’affermare che i poteri del capitalismo “tout court” siano direttamente responsabili delle singole vittime dell’attuale epidemia di Ebola. Devo però convenire che la situazione generale sanitaria dell’Africa risente delle condizioni socio-economiche strutturali del mondo globalizzato. Il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti dei paesi africani, ne sono convinto, automaticamente estinguerà i focolai di tutte le malattie “esotiche”.