Antico piatto domenicale, questo umido di manzo ha come ingrediente principe i chiodi di garofano
Famoso piatto della domenica della tradizione romana, che fa da primo e da secondo, retaggio di antichi fasti e di passate opulenze, l'Umido di Manzo, detto comunemente Garofalato, secondo il termine medievale, è una pietanza che, al di là dei lunghi tempi di preparazione è di un'assoluta semplicità.
Particolare piatto limitato a poche preparazioni particolari, il garofolato è un arrosto di girello di manzo con pezzetti di lardo, chiodi di garofano (dai quali deriva il nome) e aglio a fettine, cotto a fuoco lento per un paio d'ore con cipolla, olio e burro in un tegame con sedano e pomodoro. Il sugo del garofolato era anche utilizzato per condire la trippa alla trasteverina, che veniva poi passata in forno arricchita con pecorino grattugiato e un battuto di menta.
E' tra le rare pietanze della cucina romana a rivelare le sue origini aristocratiche, evidenziate dalla presenza di quella costosa spezia che erano un tempo i chiodi di garofano, ben noti agli antichi Romani, tanto ricercati da far parte dei preziosi doni che nel IV sec. d.C. l'Imperatore Costantino fece a Papa Silvestro. Dimenticati nei tristi tempi seguiti alla caduta dell'Impero Romano, i chiodi di garofano sarebbero stati reintrodotti in Italia da un ricco senese, tal Niccolò, citato da Dante nel canto XXIX dell'Inferno (vv.120-132), per aver dilapidato stupidamente il suo ingente patrimonio. Sembra infatti che costui, tra le altre stravaganze, facesse arrostire la selvaggina su una brace di chiodi di garofano e cannella, mandando in fumo cifre astronomiche.
Alla fine dell'Ottocento i gusti cambiarono, le spezie furono poco alla volta sostituite da erbe aromatiche, fresche e delicate, adatte ad una cucina più semplice e moderna. Oggi il loro uso è limitato a poche preparazioni, retaggio di antichi fasti e di passate opulenze; tra queste vi è appunto il Garofalato.
Forse è stata proprio questa sua qualità, oltre all'indiscussa bontà, a preservare il piatto dall'oblio riservandogli un posto d'onore nella cucina casalinga, destinato a solennizzare i giorni di festa. Non è certo un piatto economico se, a volersi attenere a quanto sentenziava Ada Boni nel suo ricettario, i pezzi adatti sono il girello o il piccione, tagli non certo di scarto.
Già nei ricettari del Cinquecento, come quello di Bartolomeo Scappi, sono descritti sistemi di cottura per pezzi scelti di manzo, in cui si riconoscono le origini del Garofolato; manca ovviamente il pomodoro che non era ancora entrato nell'uso comune. La prima ricetta che contiene tutti gli ingredienti di quella attualmente vigente è riportata da Francesco Leonardi che, romano di nascita e di formazione, pur avendo girato mezzo mondo, non trascurò mai la cucina di casa sua, ricordandone anche il nome esatto: Manzo Garofalato.
Per preparare il garofalato occorre tagliare a bastoncini un pezzo di prosciutto o di lardo, rotolarli in un bel trito di aglio, maggiorana, sale e pepe. Praticare delle incisioni in un bel pezzo di carne di manzo (lacerto, piccione o punta di pezza) del peso di circa 1,5 Kg, introdurre in ognuna un lardello e una decina di chiodi di garofano e legarlo. Soffriggere in una casserruola con un cucchiaio di strutto un trito di lardo, aglio, cipolla, carota, sedano e prezzemolo, rosolarvi dolcemente il pezzo di carne facendolo diventare scuro da tutti i lati, salarlo, peparlo e bagnarlo con un bicchiere di vino rosso, far evaporare e coprire la carne con passato di pomodoro. Mettere il coperchio e cuocere a fuoco basso per un paio d'ore.
Passare il sugo e adoperarlo sia per condire pasta o riso, sia per servirlo sulla carne opportunamente affettata.
Famoso piatto della domenica della tradizione romana, che fa da primo e da secondo, retaggio di antichi fasti e di passate opulenze, l'Umido di Manzo, detto comunemente Garofalato, secondo il termine medievale, è una pietanza che, al di là dei lunghi tempi di preparazione è di un'assoluta semplicità.
Particolare piatto limitato a poche preparazioni particolari, il garofolato è un arrosto di girello di manzo con pezzetti di lardo, chiodi di garofano (dai quali deriva il nome) e aglio a fettine, cotto a fuoco lento per un paio d'ore con cipolla, olio e burro in un tegame con sedano e pomodoro. Il sugo del garofolato era anche utilizzato per condire la trippa alla trasteverina, che veniva poi passata in forno arricchita con pecorino grattugiato e un battuto di menta.
E' tra le rare pietanze della cucina romana a rivelare le sue origini aristocratiche, evidenziate dalla presenza di quella costosa spezia che erano un tempo i chiodi di garofano, ben noti agli antichi Romani, tanto ricercati da far parte dei preziosi doni che nel IV sec. d.C. l'Imperatore Costantino fece a Papa Silvestro. Dimenticati nei tristi tempi seguiti alla caduta dell'Impero Romano, i chiodi di garofano sarebbero stati reintrodotti in Italia da un ricco senese, tal Niccolò, citato da Dante nel canto XXIX dell'Inferno (vv.120-132), per aver dilapidato stupidamente il suo ingente patrimonio. Sembra infatti che costui, tra le altre stravaganze, facesse arrostire la selvaggina su una brace di chiodi di garofano e cannella, mandando in fumo cifre astronomiche.
Alla fine dell'Ottocento i gusti cambiarono, le spezie furono poco alla volta sostituite da erbe aromatiche, fresche e delicate, adatte ad una cucina più semplice e moderna. Oggi il loro uso è limitato a poche preparazioni, retaggio di antichi fasti e di passate opulenze; tra queste vi è appunto il Garofalato.
Forse è stata proprio questa sua qualità, oltre all'indiscussa bontà, a preservare il piatto dall'oblio riservandogli un posto d'onore nella cucina casalinga, destinato a solennizzare i giorni di festa. Non è certo un piatto economico se, a volersi attenere a quanto sentenziava Ada Boni nel suo ricettario, i pezzi adatti sono il girello o il piccione, tagli non certo di scarto.
Già nei ricettari del Cinquecento, come quello di Bartolomeo Scappi, sono descritti sistemi di cottura per pezzi scelti di manzo, in cui si riconoscono le origini del Garofolato; manca ovviamente il pomodoro che non era ancora entrato nell'uso comune. La prima ricetta che contiene tutti gli ingredienti di quella attualmente vigente è riportata da Francesco Leonardi che, romano di nascita e di formazione, pur avendo girato mezzo mondo, non trascurò mai la cucina di casa sua, ricordandone anche il nome esatto: Manzo Garofalato.
Per preparare il garofalato occorre tagliare a bastoncini un pezzo di prosciutto o di lardo, rotolarli in un bel trito di aglio, maggiorana, sale e pepe. Praticare delle incisioni in un bel pezzo di carne di manzo (lacerto, piccione o punta di pezza) del peso di circa 1,5 Kg, introdurre in ognuna un lardello e una decina di chiodi di garofano e legarlo. Soffriggere in una casserruola con un cucchiaio di strutto un trito di lardo, aglio, cipolla, carota, sedano e prezzemolo, rosolarvi dolcemente il pezzo di carne facendolo diventare scuro da tutti i lati, salarlo, peparlo e bagnarlo con un bicchiere di vino rosso, far evaporare e coprire la carne con passato di pomodoro. Mettere il coperchio e cuocere a fuoco basso per un paio d'ore.
Passare il sugo e adoperarlo sia per condire pasta o riso, sia per servirlo sulla carne opportunamente affettata.