L'annuncio della sua morte è arrivato via Twitter, un mezzo che lui ignorava: Manoel Cândido Pinto de Oliveira è scomparso questa mattina.
Nato a Porto l'11 dicembre 1908, nonostante i suoi 106 anni continuava a essere considerato il più grande regista e sceneggiatore che il Portogallo avesse mai avuto. Fino agli ultimi suoi giorni, aveva scelto di stare dietro la cinepresa: aveva infatti festeggiato il 106° compleanno con l'uscita in patria di quello che rimane il suo ultimo cortometraggio, O Velho do Restelo (Il vecchio di Restelo), girato in primavera e presentato all'ultima Mostra di Venezia. Quel cinema che, in poche parole, aveva descritto come "una riflessione sull'umanità" e che usava anche le altri arti come ispirazione, il teatro e la letteratura prima di tutto. Un tarlo che non lo aveva mai abbandonato e che metteva in ogni suo lavoro, considerato tra i più significativi ma anche emblematici del cinema mondiale. "Il cinema è immateriale", raccontava.
"La macchina da presa, la sala, lo schermo, sono materiali, ma le immagini sono immateriali. Quando dico che il cinema è anche teatro, voglio dire che il teatro è la rappresentazione della vita, mentre il cinema è anche la rappresentazione della vita ma in questo senso è sempre teatro, perché riproduce l’essenza stessa della vita: le convenzioni. Se mi tolgo il cappello per salutare, questa è una convenzione, una cortesia, ma se esulo dalla convenzione, questo gesto non ha più alcun significato. Le convenzioni rappresentano la vita sia nel cinema che nel teatro". (La Repubblica)
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Nato a Porto l'11 dicembre 1908, nonostante i suoi 106 anni continuava a essere considerato il più grande regista e sceneggiatore che il Portogallo avesse mai avuto. Fino agli ultimi suoi giorni, aveva scelto di stare dietro la cinepresa: aveva infatti festeggiato il 106° compleanno con l'uscita in patria di quello che rimane il suo ultimo cortometraggio, O Velho do Restelo (Il vecchio di Restelo), girato in primavera e presentato all'ultima Mostra di Venezia. Quel cinema che, in poche parole, aveva descritto come "una riflessione sull'umanità" e che usava anche le altri arti come ispirazione, il teatro e la letteratura prima di tutto. Un tarlo che non lo aveva mai abbandonato e che metteva in ogni suo lavoro, considerato tra i più significativi ma anche emblematici del cinema mondiale. "Il cinema è immateriale", raccontava.
"La macchina da presa, la sala, lo schermo, sono materiali, ma le immagini sono immateriali. Quando dico che il cinema è anche teatro, voglio dire che il teatro è la rappresentazione della vita, mentre il cinema è anche la rappresentazione della vita ma in questo senso è sempre teatro, perché riproduce l’essenza stessa della vita: le convenzioni. Se mi tolgo il cappello per salutare, questa è una convenzione, una cortesia, ma se esulo dalla convenzione, questo gesto non ha più alcun significato. Le convenzioni rappresentano la vita sia nel cinema che nel teatro". (La Repubblica)
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