Il piano per non far esplodere le terapie intensive: “Fino a luglio sarà emergenza”
Una ricerca dell’Università del Piemonte orientale calcola quanti posti serviranno nei prossimi mesi: rafforzare i reparti ora per non trovarsi in affanno in estate.
E’ l’emergenza nell’emergenza italiana. L’Italia ha un numero limitato di posti in terapia intensiva, frutto di anni di tagli alla Sanità pubblica e, va detto, anche del fatto che nessuno finora avrebbe mai immaginato di trovarsi in una pandemia di queste dimensioni. E il problema, rivela uno studio appena pubblicato dall’Università del Piemonte orientale, non si risolverà in breve tempo, ma andrà avanti almeno fino a luglio, ovvero quando, almeno si spera, il numero della fase più acuta del contagio sarà ultimata. La ricetta quindi è rafforzare le terapie intensive, non solo in questi giorni dai numeri drammatici, ma anche più avanti, quando, problema aggiuntivo, il personale sanitario si troverà in difficoltà per le lunghe settimane spese a combattere nell’emergenza. I posti in terapia intensiva negli ospedali italiani, prima della crisi sanitaria, erano circa 5000, il loro riempimento medio, in tempi normali e dunque prima del Covid-19, era della metà, 2500 posti occupati.
Uno studio del Crimedim - Research center in emergency and disaster medicine, dell'Università del Piemonte orientale, prendendo in esame due scenari, uno più ottimista (forte riduzione dei contagi) e uno meno (calo più lento), ha calcolato quanti posti in rianimazione serviranno da qui alla fine (presumibile) della crisi, perché il sistema sanitario non collassi e curi ancora più persone possibili. E sono molti di più di quelli disponibili. Per l’esattezza tra 2,5 e 3 volte più di ora. «Al giorno 51 di contagi (oggi siamo al 41, se si considera dal 24 febbraio, giorno del primo caso a Codogno, ndr) il bisogno di letti in terapia intensiva sarà di 7298», tre volte la soglia di sicurezza fissata nello scenario peggiore predetto, simile purtroppo a quello che stiamo vivendo, spiega il professor Francesco Barone Adesi, professore associato di Sanità pubblica dell'università del Piemonte orientale.
Il modello dei ricercatori piemontesi considera che siamo attorno al picco massimo di contagiati. Cinque giorni dopo che le misure sanitarie iniziano ad avere effetto. «Il picco del fabbisogno in terapia intensiva viene invece raggiunto dopo altri 9 giorni. Una volta raggiunto, la richiesta di posti di terapie intensive calerà molto lentamente; la soglia di 2500 posti non viene raggiunta neanche al termine della simulazione (giorno 120)».
Questo significa che, secondo i ricercatori, non usciremo dall’emergenza prima di luglio, 120° giorno appunto. E che dovremmo metterci a costruire ventilatori sin da subito, perché tra qualche mese comunque non ne avremo abbastanza per il carico di malati previsti. La regione Veneto, ad esempio, una delle più colpite, arriverebbe a fine giugno con un fabbisogno di terapia intensiva tre volte superiore alla sua soglia di sicurezza. «I risultati riportati suggeriscono la necessità di una gestione dell’epidemia non solo di tipo puramente emergenziale – dice Barone Adesi – . Questo richiede la necessità di organizzare una gestione dell’epidemia anche sul medio periodo. Ciò include un diverso orizzonte temporale nelle strategie di reclutamento del personale sanitario (e possibilmente la previsione di turnover, anche considerando l’alto rischio di contrarre l’infezione da parte di questi lavoratori) e di pianificazione logistica».
Insomma, l’emergenza per la Sanità italiana non è solo pensare a domani con il minor numero di morti possibile e il maggior numero di pazienti assistiti, ma la pianificazione di un orizzonte a medio raggio. Ad esempio portando medicine a domicilio, o aiutando i più fragili e soli. Perché altrimenti, «ai morti di Covid si aggiungeranno molti altri malati, dai diabetici ai cardiopatici», che oggi per fortuna hanno scampato il virus.
(fonte secoloXIX)
Una ricerca dell’Università del Piemonte orientale calcola quanti posti serviranno nei prossimi mesi: rafforzare i reparti ora per non trovarsi in affanno in estate.
E’ l’emergenza nell’emergenza italiana. L’Italia ha un numero limitato di posti in terapia intensiva, frutto di anni di tagli alla Sanità pubblica e, va detto, anche del fatto che nessuno finora avrebbe mai immaginato di trovarsi in una pandemia di queste dimensioni. E il problema, rivela uno studio appena pubblicato dall’Università del Piemonte orientale, non si risolverà in breve tempo, ma andrà avanti almeno fino a luglio, ovvero quando, almeno si spera, il numero della fase più acuta del contagio sarà ultimata. La ricetta quindi è rafforzare le terapie intensive, non solo in questi giorni dai numeri drammatici, ma anche più avanti, quando, problema aggiuntivo, il personale sanitario si troverà in difficoltà per le lunghe settimane spese a combattere nell’emergenza. I posti in terapia intensiva negli ospedali italiani, prima della crisi sanitaria, erano circa 5000, il loro riempimento medio, in tempi normali e dunque prima del Covid-19, era della metà, 2500 posti occupati.
Uno studio del Crimedim - Research center in emergency and disaster medicine, dell'Università del Piemonte orientale, prendendo in esame due scenari, uno più ottimista (forte riduzione dei contagi) e uno meno (calo più lento), ha calcolato quanti posti in rianimazione serviranno da qui alla fine (presumibile) della crisi, perché il sistema sanitario non collassi e curi ancora più persone possibili. E sono molti di più di quelli disponibili. Per l’esattezza tra 2,5 e 3 volte più di ora. «Al giorno 51 di contagi (oggi siamo al 41, se si considera dal 24 febbraio, giorno del primo caso a Codogno, ndr) il bisogno di letti in terapia intensiva sarà di 7298», tre volte la soglia di sicurezza fissata nello scenario peggiore predetto, simile purtroppo a quello che stiamo vivendo, spiega il professor Francesco Barone Adesi, professore associato di Sanità pubblica dell'università del Piemonte orientale.
Il modello dei ricercatori piemontesi considera che siamo attorno al picco massimo di contagiati. Cinque giorni dopo che le misure sanitarie iniziano ad avere effetto. «Il picco del fabbisogno in terapia intensiva viene invece raggiunto dopo altri 9 giorni. Una volta raggiunto, la richiesta di posti di terapie intensive calerà molto lentamente; la soglia di 2500 posti non viene raggiunta neanche al termine della simulazione (giorno 120)».
Questo significa che, secondo i ricercatori, non usciremo dall’emergenza prima di luglio, 120° giorno appunto. E che dovremmo metterci a costruire ventilatori sin da subito, perché tra qualche mese comunque non ne avremo abbastanza per il carico di malati previsti. La regione Veneto, ad esempio, una delle più colpite, arriverebbe a fine giugno con un fabbisogno di terapia intensiva tre volte superiore alla sua soglia di sicurezza. «I risultati riportati suggeriscono la necessità di una gestione dell’epidemia non solo di tipo puramente emergenziale – dice Barone Adesi – . Questo richiede la necessità di organizzare una gestione dell’epidemia anche sul medio periodo. Ciò include un diverso orizzonte temporale nelle strategie di reclutamento del personale sanitario (e possibilmente la previsione di turnover, anche considerando l’alto rischio di contrarre l’infezione da parte di questi lavoratori) e di pianificazione logistica».
Insomma, l’emergenza per la Sanità italiana non è solo pensare a domani con il minor numero di morti possibile e il maggior numero di pazienti assistiti, ma la pianificazione di un orizzonte a medio raggio. Ad esempio portando medicine a domicilio, o aiutando i più fragili e soli. Perché altrimenti, «ai morti di Covid si aggiungeranno molti altri malati, dai diabetici ai cardiopatici», che oggi per fortuna hanno scampato il virus.
(fonte secoloXIX)