L’emergenza sanitaria in corso ha portato a una risposta particolarmente rapida da parte dei laboratori di ricerca e sono già pronti i primi preparati da testare sull'uomo. Ma la strada è ancora lunga e le stime degli esperti spaziano da uno a tre anni
Se accettiamo la metafora bellica per descrivere il tentativo di rendere innocuo il coronavirus, le misure di distanziamento sociale e i dispositivi per evitare il contagio sono in realtà le retrovie, paragonabili alla popolazione civile della seconda Guerra Mondiale, che cercava di sopravvivere e si nascondeva nei bunker in caso di bombardamento. Il fronte, l’esercito, l’unica speranza di ‘vincere’ è rappresentato invece dai laboratori di ricerca dove si studiano nuove terapie per curare la reazione virale e un vaccino per prevenirla in modo definitivo.
Le notizie che riguardano il fronte sono, come spesso capita, frammentarie, a volte contraddittorie, generano entusiasmi o gettano il lettore nello sconforto. La diffusione di un virus sostanzialmente ignoto fino a pochi mesi fa complica la ricerca e di conseguenza anche la cronaca dal fronte. Cerchiamo di fornire qualche elemento in più per contestualizzare le molte notizie riguardo il vaccino, senza avere la pretesa di sapere come andrà a finire e soprattutto se e quando arriverà.
L'iter di approvazione standard
Per sviluppare un vaccino la strada è di norma abbastanza lunga e segnata da tappe precise e condivise in tutto il mondo. Come indicato dall’Istituto Superiore di Sanità, i passaggi sono sei, due preclinici e quattro clinici.
Si inizia con l’allestimento dei preparati vaccinali, cioè si individuano dei candidati, che possono essere di diversa natura e composizione. Questi candidati vengono poi analizzati in laboratorio per valutarne il comportamento, la tolleranza da parte dell’organismo e l’eventuale tossicità. Le analisi vengono condotte prima in vitro, è cioè nelle provette, e poi in vivo su cavie animali. Queste fasi vengono definite pre-cliniche.
Si passa poi alle quattro fasi ‘cliniche’, in cui il preparato vaccinale viene testato sugli esseri umani.
Nella prima fase clinica la somministrazione viene effettuata su un limitato numero di persone, nell’ordine delle decine. Se la prima fase clinica ha successo, se cioè non si manifestano intolleranze o effetti collaterali indesiderati, si testa lo stesso preparato, in dosaggi differenti tra loro, su un centinaio di cavie umane (fase clinica 2). Se anche la seconda fase clinica ha successo a sua volta, si procede col test su migliaia di esseri umani (fase clinica 3).
A questo punto il vaccino è pronto per ricevere le autorizzazioni da parte delle autorità competenti; ottenute le autorizzazioni si può commercializzare su larga scala e iniziare a vaccinare la popolazione. "A questo punto - spiega l'Iss - si entra negli studi di fase 4 che consistono nel monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione in costante aumento".
Le fasi precliniche non hanno un tempo predeterminato, dipende molto dalla velocità con cui si individua un preparato valido. Le fasi cliniche invece hanno una tempistica minima da rispettare che varia da 12 a 18 mesi. Questo nel caso in cui non ci sia alcun intoppo nei vari passaggi, perché altrimenti i tempi si allungano in modo imprevedibile.
Le possibili accelerazioni
L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia in corso sta producendo una risposta particolarmente rapida da parte dei laboratori di ricerca, tanto che in meno di quattro mesi i primi preparati sono già pronti per la sperimentazione su esseri umani e quindi alla prima delle fasi cliniche.
Questo è stato possibile per una congiuntura unica nella storia della medicina: la rapida sequenziazione del genoma del coronavirus e la sua condivisione con tutta la comunità scientifica. Il tutto grazie ai mezzi tecnologici disponibili che permettono di analizzare enormi quantità di dati (la sequenza del coronavirus ha 30mila basi) anche grazie a software di Intelligenza artificiale.
Inoltre nella ricerca di un vaccino per questo nuovo coronavirus, possono essere messe a profitto ricerche fatte negli ultimi anni su altri coronavirus (Sars e Mers), e quindi da un certo punto di vista non si parte da zero.
I rischi di accelerare troppo
Se tutto va bene, quello che ci immunizzerà dal coronavirus sarà il vaccino sviluppato più velocemente della storia, ma è comunque poco ragionevole pretendere risultati immediati. Le fasi cliniche di sperimentazione non sono comprimibili più di tanto. Si può risparmiare qualche mese ma non si possono saltare passaggi e la risposta dell’organismo al vaccino richiede tempi fisiologici.
Correre troppo può indurre in errori che possono rivelarsi fatali per i vaccinati. Il più preoccupante è quel che viene definito immuno-potenziamento, che in estrema sintesi porta a una reazione indesiderata del sistema immunitario che, anziché riconoscere e annullare il virus, finisce per accelerarne il lavoro di proliferazione e accentuarne i danni.
Un'ulteriore complicazione è dovuta dal fatto che la fascia demografica più vulnerabile alle conseguenze gravi di Covid-19 è quella più anziana, che ha anche un sistema immunitario più difficile da stimolare. Come annunciato in qualche caso da chi sta sviluppando alcuni preparati, è quindi più probabile arrivare a ottenere un vaccino che vada bene per alcune categorie più forti, come ad esempio medici e infermieri (di una certa età, ovviamente). Per lor potrebbero accorciarsi i tempi e trovare una soluzione più rapida. Per avere però un vaccino con cui effettuare vaccinazioni di massa e soprattutto destinate agli over65, è meglio non correre troppo.
Le previsioni sulla tempistica
È molto difficile fare previsioni realistiche sulla disponibilità di un vaccino per tutti. Le stime degli esperti spaziano da uno a tre anni. I più ottimisti sperano in un preparato che arrivi alla terza fase clinica per la fine del 2020, e in questo caso sarà uno di quelli su cui si è già iniziata la prima fase clinica, quella sugli esseri umani. Se anche così fosse, è lecito pensare di avere il vaccino disponibile su larga scala per la prossima primavera inoltrata. Secondo altri, nonostante la buona partenza, sarà comunque necessario aspettare fino al 2022 o 2023. Altri ancora, come il professore Nabarro dell’Imperial College britannico e membro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono più scettici e invitano alla prudenza, anche in considerazione del fatto che il virus è nuovo e muterà nel tempo, rendendo più complicato raggiungere un vaccino davvero efficace che ponga fine alla pandemia.
(fonte SkyTG24; 24 aprile 2020)
Se accettiamo la metafora bellica per descrivere il tentativo di rendere innocuo il coronavirus, le misure di distanziamento sociale e i dispositivi per evitare il contagio sono in realtà le retrovie, paragonabili alla popolazione civile della seconda Guerra Mondiale, che cercava di sopravvivere e si nascondeva nei bunker in caso di bombardamento. Il fronte, l’esercito, l’unica speranza di ‘vincere’ è rappresentato invece dai laboratori di ricerca dove si studiano nuove terapie per curare la reazione virale e un vaccino per prevenirla in modo definitivo.
Le notizie che riguardano il fronte sono, come spesso capita, frammentarie, a volte contraddittorie, generano entusiasmi o gettano il lettore nello sconforto. La diffusione di un virus sostanzialmente ignoto fino a pochi mesi fa complica la ricerca e di conseguenza anche la cronaca dal fronte. Cerchiamo di fornire qualche elemento in più per contestualizzare le molte notizie riguardo il vaccino, senza avere la pretesa di sapere come andrà a finire e soprattutto se e quando arriverà.
L'iter di approvazione standard
Per sviluppare un vaccino la strada è di norma abbastanza lunga e segnata da tappe precise e condivise in tutto il mondo. Come indicato dall’Istituto Superiore di Sanità, i passaggi sono sei, due preclinici e quattro clinici.
Si inizia con l’allestimento dei preparati vaccinali, cioè si individuano dei candidati, che possono essere di diversa natura e composizione. Questi candidati vengono poi analizzati in laboratorio per valutarne il comportamento, la tolleranza da parte dell’organismo e l’eventuale tossicità. Le analisi vengono condotte prima in vitro, è cioè nelle provette, e poi in vivo su cavie animali. Queste fasi vengono definite pre-cliniche.
Si passa poi alle quattro fasi ‘cliniche’, in cui il preparato vaccinale viene testato sugli esseri umani.
Nella prima fase clinica la somministrazione viene effettuata su un limitato numero di persone, nell’ordine delle decine. Se la prima fase clinica ha successo, se cioè non si manifestano intolleranze o effetti collaterali indesiderati, si testa lo stesso preparato, in dosaggi differenti tra loro, su un centinaio di cavie umane (fase clinica 2). Se anche la seconda fase clinica ha successo a sua volta, si procede col test su migliaia di esseri umani (fase clinica 3).
A questo punto il vaccino è pronto per ricevere le autorizzazioni da parte delle autorità competenti; ottenute le autorizzazioni si può commercializzare su larga scala e iniziare a vaccinare la popolazione. "A questo punto - spiega l'Iss - si entra negli studi di fase 4 che consistono nel monitoraggio di sicurezza ed effetti secondari del vaccino negli anni e su una popolazione in costante aumento".
Le fasi precliniche non hanno un tempo predeterminato, dipende molto dalla velocità con cui si individua un preparato valido. Le fasi cliniche invece hanno una tempistica minima da rispettare che varia da 12 a 18 mesi. Questo nel caso in cui non ci sia alcun intoppo nei vari passaggi, perché altrimenti i tempi si allungano in modo imprevedibile.
Le possibili accelerazioni
L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia in corso sta producendo una risposta particolarmente rapida da parte dei laboratori di ricerca, tanto che in meno di quattro mesi i primi preparati sono già pronti per la sperimentazione su esseri umani e quindi alla prima delle fasi cliniche.
Questo è stato possibile per una congiuntura unica nella storia della medicina: la rapida sequenziazione del genoma del coronavirus e la sua condivisione con tutta la comunità scientifica. Il tutto grazie ai mezzi tecnologici disponibili che permettono di analizzare enormi quantità di dati (la sequenza del coronavirus ha 30mila basi) anche grazie a software di Intelligenza artificiale.
Inoltre nella ricerca di un vaccino per questo nuovo coronavirus, possono essere messe a profitto ricerche fatte negli ultimi anni su altri coronavirus (Sars e Mers), e quindi da un certo punto di vista non si parte da zero.
I rischi di accelerare troppo
Se tutto va bene, quello che ci immunizzerà dal coronavirus sarà il vaccino sviluppato più velocemente della storia, ma è comunque poco ragionevole pretendere risultati immediati. Le fasi cliniche di sperimentazione non sono comprimibili più di tanto. Si può risparmiare qualche mese ma non si possono saltare passaggi e la risposta dell’organismo al vaccino richiede tempi fisiologici.
Correre troppo può indurre in errori che possono rivelarsi fatali per i vaccinati. Il più preoccupante è quel che viene definito immuno-potenziamento, che in estrema sintesi porta a una reazione indesiderata del sistema immunitario che, anziché riconoscere e annullare il virus, finisce per accelerarne il lavoro di proliferazione e accentuarne i danni.
Un'ulteriore complicazione è dovuta dal fatto che la fascia demografica più vulnerabile alle conseguenze gravi di Covid-19 è quella più anziana, che ha anche un sistema immunitario più difficile da stimolare. Come annunciato in qualche caso da chi sta sviluppando alcuni preparati, è quindi più probabile arrivare a ottenere un vaccino che vada bene per alcune categorie più forti, come ad esempio medici e infermieri (di una certa età, ovviamente). Per lor potrebbero accorciarsi i tempi e trovare una soluzione più rapida. Per avere però un vaccino con cui effettuare vaccinazioni di massa e soprattutto destinate agli over65, è meglio non correre troppo.
Le previsioni sulla tempistica
È molto difficile fare previsioni realistiche sulla disponibilità di un vaccino per tutti. Le stime degli esperti spaziano da uno a tre anni. I più ottimisti sperano in un preparato che arrivi alla terza fase clinica per la fine del 2020, e in questo caso sarà uno di quelli su cui si è già iniziata la prima fase clinica, quella sugli esseri umani. Se anche così fosse, è lecito pensare di avere il vaccino disponibile su larga scala per la prossima primavera inoltrata. Secondo altri, nonostante la buona partenza, sarà comunque necessario aspettare fino al 2022 o 2023. Altri ancora, come il professore Nabarro dell’Imperial College britannico e membro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono più scettici e invitano alla prudenza, anche in considerazione del fatto che il virus è nuovo e muterà nel tempo, rendendo più complicato raggiungere un vaccino davvero efficace che ponga fine alla pandemia.
(fonte SkyTG24; 24 aprile 2020)