Inquinamento e lockdown, com’è andata (davvero) sulla Terra nei 2-3 mesi in cui l’uomo non c’era
Fra febbraio e aprile le emissioni inquinanti sono scese, ma maggio 2020 è stato il maggio più caldo degli ultimi 40 anni: ecco perché quello che (non) stiamo facendo inizia a non bastare più.
Che succederebbe sulla Terra se gli umani se ne andassero? Anzi: che succede se se ne vanno davvero, se sono costretti a stare chiusi in casa, se non possono spostarsi a causa del lockdown imposto dall’emergenza coronavirus, come accaduto un po’ dappertutto nel mondo più o meno fra febbraio e aprile 2020? Il pianeta starebbe meglio?
Febbraio e marzo, l’entusiasmo: la natura si risveglia
Nelle prime settimane di quarantena abbiamo visto tutti le immagini della natura che si riprendeva i suoi spazi, delle acque più limpide nei mari e nei fiumi, della pianura Padana libera da smog, del cielo terso pure nelle zone più industrializzate e solitamente inquinate della Cina. Non era solo suggestione: guidavamo di meno (o per nulla), gli aerei non volavano, le grandi navi non trasportavano merci da un capo all’altro del mondo e tutto questo ha avuto evidenti benefici sulla riduzione dei livelli di inquinamento.Nel dettaglio, sempre secondo quanto spiegato da Nature, i livelli di inquinamento sono cambiati in modo diverso da settore a settore fra gennaio e aprile 2020: -60% per il trasporto aereo, che era praticamente azzerato, ma solo -36% per quello su gomma (noi stavamo a casa, ma i colossi dell’e-commerce continuavano a fare consegne), -19% per l’industria, ma +3% per le abitazioni private, dove abbiamo passato gran parte del nostro tempo.
l caso a parte: gli incendi in Amazzonia
“Senza” l’uomo, comunque, in generale per la Terra è andata meglio. Non dappertutto, però: in Amazzonia è andata, e sta tutt’ora andando, decisamente peggio. Perché gli uomini e le donne costrette a stare a casa per colpa della pandemia erano i “buoni”, quelli che proteggevano la foresta da incendi e disboscamento. Gli altri, i “cattivi”, hanno continuato ad agire indisturbati proprio grazie al lockdown: La questione, spiegavamo, è che “le guardie forestali sono in quarantena per evitare il contagio, ma i piromani no”. Col passare delle settimane, il problema è peggiorato e da ecologico è diventato (anche) umanitario.Di nuovo, i numeri confermano: nel territorio amazzonico ci sono stati circa 7500 morti di coronavirus, quasi 160mila contagiati, di cui 12mila solo a Manaus (dati aggiornati a fine maggio).
Aprile e maggio, la delusione: la temperatura globale risale
Anche per il resto del mondo, comunque, l’idillio è durato poco, fra nuovi casi di “coral bleaching” sulla grande barriera corallina dell’Australia, lo sversamento di circa 20mila tonnellate di carburante in un fiume a nord di Norilsk, in Siberia e soprattutto il caldo, tanto caldo. Ma tanto caldo davvero: secondo gli scienziati del Programma Copernicus, che fa capo all’Unione europea, lo scorso maggio, il primo mese in cui l’uomo ha più o meno ripreso pienamente le sue attività sulla Terra, è stato il maggio più caldo degli ultimi 40 anni, con una temperatura media più alta di 0.6 gradi rispetto agli altri maggio dal 1981 a oggi. Peggio ancora: i 12 mesi fra giugno 2019 e maggio 2020 sono stati più caldi di 0.7 gradi rispetto alla media, arrivando a eguagliare il periodo compreso fra ottobre 2015 e settembre 2016. Che sinora era quello più torrido di sempre.
Perché il lockdown non è servito a niente (o comunque molto poco)
Si dirà: ma come, stiamo chiusi in casa 2 mesi e non cambia nulla? Allora non è vero che dobbiamo smettere di usare la macchina e andare in bicicletta per ridurre lo smog. È vero eccome (e l’auto causa il 25% di quello che inquiniamo ogni anno, come spiegammo a novembre 2019), solo che 2 mesi non bastano. E nemmeno tre o quattro: «Sarà come se non fosse mai successo», ha detto al Washington Post il professor Robert Jackson, docente all’Università di Stanford e fra gli autori dello studio pubblicato da Nature, ricordando che «nel 2008, a causa della crisi finanziaria, le emissioni inquinanti scesero dell’1,5%... per poi risalire del 5% nel giro di un paio d’anni». Quello che Jackson intende è che «sarà come se non fosse mai successo» se continueremo a fare nulla, o molto poco: secondo le stime, il lockdown alla vita delle persone e alle attività commerciali imposto dal coronavirus si tradurrà alla fine dell’anno in un calo delle emissioni inquinanti compreso fra il 4 e il 7%. Che è un valore prima impensabile e mai sentito negli ultimi decenni, ma ancora insufficiente: lo scorso autunno, un report dell’Onu calcolò che le emissioni dovrebbero calare almeno del 7,6% l’anno, ogni anno, proprio a partire dal 2020, per evitare effetti irreversibili sul clima. Non siamo riusciti a farcela neppure stando 2-3 mesi chiusi in casa.
Per riuscire invece a farcela, il modo è sempre lo stesso che la comunità scientifica ripete da anni, concentrandosi principalmente sue 2 azioni:
1) limitare il più possibile l’uso di combustibili fossili
2) ridurre il consumo di carne;
Per le singole persone, questo significa rinunciare all’automobile (è il 25% dell’inquinamento) e ai cibi di derivazione animale, perché agli allevamenti è dovuto un altro 15-30% dei gas serra emessi ogni anno nell’atmosfera.
Fra febbraio e aprile le emissioni inquinanti sono scese, ma maggio 2020 è stato il maggio più caldo degli ultimi 40 anni: ecco perché quello che (non) stiamo facendo inizia a non bastare più.
Che succederebbe sulla Terra se gli umani se ne andassero? Anzi: che succede se se ne vanno davvero, se sono costretti a stare chiusi in casa, se non possono spostarsi a causa del lockdown imposto dall’emergenza coronavirus, come accaduto un po’ dappertutto nel mondo più o meno fra febbraio e aprile 2020? Il pianeta starebbe meglio?
Febbraio e marzo, l’entusiasmo: la natura si risveglia
Nelle prime settimane di quarantena abbiamo visto tutti le immagini della natura che si riprendeva i suoi spazi, delle acque più limpide nei mari e nei fiumi, della pianura Padana libera da smog, del cielo terso pure nelle zone più industrializzate e solitamente inquinate della Cina. Non era solo suggestione: guidavamo di meno (o per nulla), gli aerei non volavano, le grandi navi non trasportavano merci da un capo all’altro del mondo e tutto questo ha avuto evidenti benefici sulla riduzione dei livelli di inquinamento.Nel dettaglio, sempre secondo quanto spiegato da Nature, i livelli di inquinamento sono cambiati in modo diverso da settore a settore fra gennaio e aprile 2020: -60% per il trasporto aereo, che era praticamente azzerato, ma solo -36% per quello su gomma (noi stavamo a casa, ma i colossi dell’e-commerce continuavano a fare consegne), -19% per l’industria, ma +3% per le abitazioni private, dove abbiamo passato gran parte del nostro tempo.
l caso a parte: gli incendi in Amazzonia
“Senza” l’uomo, comunque, in generale per la Terra è andata meglio. Non dappertutto, però: in Amazzonia è andata, e sta tutt’ora andando, decisamente peggio. Perché gli uomini e le donne costrette a stare a casa per colpa della pandemia erano i “buoni”, quelli che proteggevano la foresta da incendi e disboscamento. Gli altri, i “cattivi”, hanno continuato ad agire indisturbati proprio grazie al lockdown: La questione, spiegavamo, è che “le guardie forestali sono in quarantena per evitare il contagio, ma i piromani no”. Col passare delle settimane, il problema è peggiorato e da ecologico è diventato (anche) umanitario.Di nuovo, i numeri confermano: nel territorio amazzonico ci sono stati circa 7500 morti di coronavirus, quasi 160mila contagiati, di cui 12mila solo a Manaus (dati aggiornati a fine maggio).
Aprile e maggio, la delusione: la temperatura globale risale
Anche per il resto del mondo, comunque, l’idillio è durato poco, fra nuovi casi di “coral bleaching” sulla grande barriera corallina dell’Australia, lo sversamento di circa 20mila tonnellate di carburante in un fiume a nord di Norilsk, in Siberia e soprattutto il caldo, tanto caldo. Ma tanto caldo davvero: secondo gli scienziati del Programma Copernicus, che fa capo all’Unione europea, lo scorso maggio, il primo mese in cui l’uomo ha più o meno ripreso pienamente le sue attività sulla Terra, è stato il maggio più caldo degli ultimi 40 anni, con una temperatura media più alta di 0.6 gradi rispetto agli altri maggio dal 1981 a oggi. Peggio ancora: i 12 mesi fra giugno 2019 e maggio 2020 sono stati più caldi di 0.7 gradi rispetto alla media, arrivando a eguagliare il periodo compreso fra ottobre 2015 e settembre 2016. Che sinora era quello più torrido di sempre.
Perché il lockdown non è servito a niente (o comunque molto poco)
Si dirà: ma come, stiamo chiusi in casa 2 mesi e non cambia nulla? Allora non è vero che dobbiamo smettere di usare la macchina e andare in bicicletta per ridurre lo smog. È vero eccome (e l’auto causa il 25% di quello che inquiniamo ogni anno, come spiegammo a novembre 2019), solo che 2 mesi non bastano. E nemmeno tre o quattro: «Sarà come se non fosse mai successo», ha detto al Washington Post il professor Robert Jackson, docente all’Università di Stanford e fra gli autori dello studio pubblicato da Nature, ricordando che «nel 2008, a causa della crisi finanziaria, le emissioni inquinanti scesero dell’1,5%... per poi risalire del 5% nel giro di un paio d’anni». Quello che Jackson intende è che «sarà come se non fosse mai successo» se continueremo a fare nulla, o molto poco: secondo le stime, il lockdown alla vita delle persone e alle attività commerciali imposto dal coronavirus si tradurrà alla fine dell’anno in un calo delle emissioni inquinanti compreso fra il 4 e il 7%. Che è un valore prima impensabile e mai sentito negli ultimi decenni, ma ancora insufficiente: lo scorso autunno, un report dell’Onu calcolò che le emissioni dovrebbero calare almeno del 7,6% l’anno, ogni anno, proprio a partire dal 2020, per evitare effetti irreversibili sul clima. Non siamo riusciti a farcela neppure stando 2-3 mesi chiusi in casa.
Per riuscire invece a farcela, il modo è sempre lo stesso che la comunità scientifica ripete da anni, concentrandosi principalmente sue 2 azioni:
1) limitare il più possibile l’uso di combustibili fossili
2) ridurre il consumo di carne;
Per le singole persone, questo significa rinunciare all’automobile (è il 25% dell’inquinamento) e ai cibi di derivazione animale, perché agli allevamenti è dovuto un altro 15-30% dei gas serra emessi ogni anno nell’atmosfera.