Giunse ai fatidici bagni della scuola, non entrò con timore seppur quelli fossero dei maschi, non si fece molti problemi, preoccupata solo del suo amico, ma non si sarebbe aspettata nulla di grave, forse una normale e quotidiana debolezza del piccolo Edo, pronta a porne rimedio. Entrò spudoratamente dentro e si ritrovò il vuoto cosmico, anzi qualcuno c’erano, in una delle box, e proprio quando lei fece il suo ingresso, l’uomo uscì e guarda caso, la fortuna o il destino, quello studente era proprio Diego, intento ancora a sistemarsi la zip del pantalone, bloccatosi per un momento alla vista della ragazzina, si sorpreso di vederla nel bagno degli uomini, ma soprattutto perché sapeva chi fosse, non dimenticava così facilmente un volto fastidioso e ripugnante come quello di Aurora, altrimenti, al momento della vendetta, non avrebbe saputo chi mirare:
Diego: "Al tuo posto uscirei se non vuoi ritrovarti in posizioni un po' scomode. Ho molta voglia, e di certo non mi metterei a considerare la tua volontà, mi sembra scontato dirlo" -continuando a sistemarsi la zip in modo alquanto attraente, la ragazza stava provando qualcosa di strano, qualcosa che prima di quel momento difficilmente aveva sentito-
Aurora: "Hai visto Edo?.. Forse, per una volta nella tua vita, potresti essermi utile.." -temendo comunque una reazione alquanto inaspettata, rientrando nella paura all’incrocio dello sguardo del grande uomo, ma era una paura immaginaria, questa volta gli occhi di Diego non trasmettevano nulla di negativo, neanche positivo, che questo sia chiaro, sembrava come impassibile difronte alla richiesta della ragazza, non inorridito, non ammirato, non gioioso, ci mancherebbe, e con un tono che non lasciava spazio a fraintendimenti, disse-
Diego: "Magari! Primo perché oggi non ha fatto quello che per dovere dovrebbe fare, quella femminuccia, e poi perché mi ha fatto aspettare senza motivo, mi ha solo fatto perdere tempo prezioso che potevo spendere in mensa! Se lo trovi portalo da me, almeno ci divertiremo un po' a 3 che ne dici?" -camminando verso di lei, avvicinandosi al suo viso in modo alquanto malizioso, provocatorio, maledettamente attraente, Aurora non poteva che non notarlo, era impossibile-.
Con fare lesto, premé sui suoi pettorali, allontanandolo dal suo corpo, riacquisendo identità di sé stessa, e soprattutto la giusta distanza che in quei casi era meglio avere, se non si voleva compiere il primo passo verso il pentimento. Un sorrisetto comparse sul volto del muscoloso ragazzo, impossibile capirne la verità che si celava dietro a quell’espressione, compiacimento, buffoneria, presa in giro, umorismo, cosa trarre da quel sorriso rimase un mistero, un segreto che Aurora voleva scoprire, incuteva in lei un’estrema curiosità, impossibile però da colmare, sarebbe stato il secondo passo verso il pentimento.
Aurora: "A quanto pare non puoi essermi utile, pensavo che almeno fossi fonte di informazione, e invece.." -lasciò il bagno degli uomini, mentre Diego apparse impassibile a quelle parole, non aggiunse nulla e non mosse un dito, rimase solo lì fermo, mentre l’espressione facciale fece ritorno alle sue origini, come se nulla fosse accaduto, come se l’ennesima maschera fosse stata indossata per apparire ciò che in realtà non era, ma è la verità? O sono solo domande che frullano nella testa di Aurora perché in fondo, nei meandri più nascosti del suo cuore, credeva, sperava in una sua diversa identità, un pentimento, un carattere nuovo, pulito, fresco ed impuro-.
Nonostante i migliori film e pensieri frullarono nella testa della giovane ragazza, questa non si arrese, continuò le sue ricerche alla volta di Edo, come scomparso, eppure da qualche parte doveva pur essere. Pensò al trio di Naja, Erasmo e Joseph, ma con loro non poteva essere dato che quando aveva lasciato la mensa, loro erano ancora lì, mentre pranzavano beatamente con le coscienze che svolazzavano per aria, le loro come tutte quelle delle persone in quella stanza, troppo piccola per contenerle tutte. Scese ai piedi bassi, decise di dirigersi in palestra, nel luogo che più Edo odiava, forse perché era l’occasione perfetta per mettere in risalto il corpo, ogni sua parte, almeno le superficiali, le ben visibili, quelle che più odiava, ma perché dirigersi lì? Ne aveva motivo? Vide improvvisamente correre una bidella nella sua direzione, ma le passò accanto velocemente, come un razzo, distratta, esterrefatta, stupita, inconsapevole della triste realtà, Aurora continuò a percorrere quel breve corridoio che si apriva ad una conclusione, ad una porta la quale si spalancava proprio nel grande padiglione occupato dalla palestra. Oltrepassò la porta e rimase inizialmente sorpresa, non riusciva a vedere cosa stesse succedendo nell’estremo angolo del padiglione, questo molto grande, largamente esteso per permettere l’accesso alla palestra a più classi in contemporanea. Percorse normalmente, ignara di tutto, l’intera palestra, passò oltre il campo da basket e quella da pallavolo, e riuscì finalmente, o purtroppo, a fare visione della triste realtà: rallentò il passo, il suo viso sbiancò, gli occhi iniziarono a luccicare e a spalancarsi, avvicinò le mani alla bocca come a cercare di trattenere l’urlo, e solo dopo corse al centro della scena. Edo, appeso, una pesante e vecchia fune lo aveva stretto al collo, con il corpo che dondolava, delicatamente si muoveva in aria, mentre una scala era stata come gettata a terra violentemente, lasciata cadere, spintonata. Aurora corse, corse più veloce che poteva, voleva salvarlo, cercare di fare un ultimo ed estremo salvataggio, voleva prevenire e leccare anche questa ferita, ma ciò non fu possibile, questa volta la lesione era troppo profonda, il coltello aveva ormai lacerato ogni tessuto, ogni capillare, ogni cellula, ormai quella parte era stata destinata solo all’amputazione, l’unica soluzione, disperata, ma una soluzione. Il dolore era troppo forte, lancinante, lacerante, ammagliante, distruttivo, fastidioso, premente, fisso e conciso, ormai farla finita era l’unica forma di libertà che a Edo era rimasta, la prima e l’ultima decisione che il ragazzo era riuscito a prendere da indipendente, da uomo coraggioso, da un umano che ha voluto essere ciò che desiderava, ciò per cui è stato giudicato, privato della libertà di essere chiunque e di essere nessuno, privato della sua volontà, la possibilità di scegliere, di diventare, di esistere, essere Edo come non esserlo. Nessuno lo aveva toccato, era rimasto lì, a penzolare, tutti coloro che ammiravano il triste panorama rimasero sbigottiti, estraniati dal crudele ed estremo gesto del giovane, tutti rimpiangevano la sua esistenza, tutti lo commiseravano, tutti provarono pietà in quell’attimo: Aurora invece pianse. Tralasciò ogni sguardo, ogni altro sentimento che contornava la scena, si concentrò in modo molto spontaneo sul suo dolore, il fallimento era troppo grande, non era stata colei che avrebbe voluto essere: ogni sforzo, ogni schiaffo beccato, ogni prevenzione, ogni cura, ogni parola, ogni abbraccio, tutto era stato inutile, e solo in quel momento Aurora era stata capace di capire quanto sbagliata fosse stata ogni sua azione, quanto sbagliate fossero le proprie posizioni, quanto sbagliata fosse stata con Edo. Si strinse ai suoi piedi, voleva sollevarlo, cercare ancora di prevenire il danno, curarlo, voleva ancora, anche con la morte, proteggere l’amico che tanto l’aveva aiutata, ma lei non era riuscita a fare lo stesso come davvero il giovane meritava, lo aveva solo creduto. Finalmente la bidella che prima aveva sfiorato come il vento la calma Aurora, adesso stava ritornando con un altro collaboratore scolastico, seguito da una massa di studenti non indifferente, quasi tutti coloro che erano in mensa, data la pubblicità che ne era stata fatta della morte di Edo. L’uomo salì sulla scala che Edo aveva utilizzato per compiere i suoi ultimi gradini prima di cadere nel baratro, la poggiò all’alto canestro da basket, alla grande struttura che lo sorreggeva, salì trepidante e con molta difficoltà cercò di tagliare la fune che stringeva al collo il giovane ormai appassito. Impacciato, incapace, timoroso, tremendamente in ansia, ricorse ad un taglio, che originariamente doveva essere netto, ma che si trasformò in un maciullo di filacci, senza riuscire a liberare dalle catene la povera vittima: l’ultimo taglio ed il corpo cadde tra le braccia di altri 2 uomini che attendevano a terra lo slaccio della fune. Vi fu solo silenzio, nessuno parlò, i nemici, gli amici, gli sconosciuti, gli ignari, gli adulti, gli ignavi, nessuno, nessuno osò plagiare quel momento, perché la morte non dà fiato ai vivi e lo toglie ai morti, perché difronte alla morte non c’è forza che tenga, non c’è ideale che tenga, non c’è speranza, non c’è gioia, non c’è spiegazione, solo “è così che doveva andare”. Aurora continuò a piangere, distesa sul pavimento, cercando di accostare al suo petto il povero amico, in fin di vita, a peso morto, pesante come un macigno, con l’anima leggere come una piuma, non c’era spazio ai perché, al come, al quando, l’anima, il cuore, la mente, erano annebbiate dal solo dolore, quello bastava e avanzava. Nessun’altro osò piangere, solo il rispettoso, apparente, silenzio, eppure il chiacchiericcio di sottofondo non mancò, si fece sentire in quel padiglione dove il suono si scontrava contro le pareti, dove tutto era ridondante, dove ogni parola era ripetuta per due, dove ogni espressione trovava la sua chiarezza. In mezzo al pubblico studentesco e non vi era anche il quartetto: Diego guardò, non si impressionò alla vista del morto Edo, ma piuttosto rimase alquanto sbigottito dal dolore di Aurora, un dolore sincero, un sentimento sentito, tattile, trasparente, senza filtri, non vi era nessun tipo di vergogna nel suo pianto, non vi era imbarazzo seppur un branco di studenti la stessero guardando, la stessero denigrando, si vergognavano loro per lei, per il suo dolore, come se anche difronte alla morte bisognasse rimanere composti, impassibili, distaccati. Naja, Erasmo e Joseph non si risparmiarono battute squallide, indecenti, estranee a quella situazione, non ebbero rispetto, ma almeno non lo occultarono con finto dolore, con una maschera che era più falsa di quella dei teatri classici. Seguito dagli studenti, arrivò anche il rinomato Preside della Justice Accademy, il quale riuscì ad indossare una delle sue facce più belle, classiche, comode all’uso, sempre pronte ad essere cacciate dall’armadio, adatte ad ogni occasione, ad ogni inconveniente..
Preside D’amico: "Ma questa è una disgrazia! Com’è potuto succedere.. O Signore.." -azzardando un segno della croce frettoloso, sconvolto, con uno sguardo inorridito, sbigottito, quasi sul punto del pianto- "Avete già chiamato il 118?! Povero ragazzo.. Lei chi è mi scusi?" -rivolgendosi sbadatamente alla piangente Aurora, come se lui non riuscisse a capire la vera funzione, a livello teatrale, della ragazza, piegata sul petto del suo amico, continuando a piangere senza badare alla domanda dell’autorità-
Il Preside non ricevette risposta. Si continuò a sentire solo il rumore del pianto della ragazza e il vociferare in sottofondo, ma nessuno, né Aurora, né le sue amiche che erano lì, addolorate, affrante, deluse da loro stesse per non aver riconosciuto le buone intenzioni della ragazza, per averla tradita, lasciata da sola nel ring, sul campo di battaglia contro un branco di leoni, nessuno osò interrompere, correggere, risistemare i moduli tragici del Preside, tanto rispettoso quanto ignorante.
Preside D’amico: "Allontanate questa ragazza, chiamate i genitori di questo ragazzino.." -iniziando a togliere dalla faccia il trucco della tragedia con un detergente abrasivo, acido- "..Vediamo di darci una mossa, non ho tutto il giorno! Cerchiamo di non creare troppo scandalo, altrimenti inizieremo a perdere colpi! Vedete di portar via gli studenti, hanno già visto abbastanza, chiamate i genitori e sbrigatevi!.." -disse ai suoi collaboratori, al suo staff, tragico, desolante, fallimentare quanto lui, con tono basso, intimo, riservato, cercando di far capire il poco e il nulla: preservare la sua immagine e quella della Justice Accademy era la sua prima preoccupazione, messa al primo posto, sopra la pulizia, sopra l’ordine, sopra la gestione, sopra la vita, bastava l’apparenza, ciò che dall’esterno si vedeva doveva essere sufficiente-.
Una bidella, come da ordine del Preside, afferrò per le braccia Aurora, cercando di scrollarla di dosso all’ormai morto Edo, questa non oppose resistenza, si sentì solo trascinar via dal suo amico con una dolcezza e affranto da parte della donna, che non voleva, lei in prima persona, strappare così, freddamente, distaccarla dal corpo del suo amico. La allontanò ed insieme lasciarono il padiglione della palestra per dirigersi in un ambiente più tranquillo, lontano dagli sguardi che accompagnarono verso l’uscita la piangente Aurora: non aspettarono oltre, Yuji e Teresa rincorsero la bidella che stava portando via la loro amica, cercando di rimediare all’errore fatto, ormai passato, impossibile da cambiare, bisognava solo chiedere scusa, non solo con le parole, quelle sono troppo facili, dirette, scontate, ma con i fatti, con il calore, l’amore, la vicinanza che in quel momento Aurora doveva avere. Diego non abbandonò mai Aurora, la seguì con gli occhi, non gli stessi degli altri studenti, occhi curiosi, maligni, falsi, ma con un certo affetto, come se in quel momento volesse correre verso di lei ed abbracciarla, regalarle la compagnia della quale più che mai aveva bisogno. Non lo fece, non poté farlo. Rompere il suo mito? Distruggere la sua reputazione? Demolire la persona che era diventata in 5 anni per una ragazzina? Come poteva osare solo di pensare ad una cosa del genere? Lo sguardo che ne avrebbe seguito sarebbe stato di stupore, meraviglia, scandalo: bell’esempio avrebbe dato. Preferì restare lì, ad osservare il corpo morto della sua vittima, cercando di capire che, inevitabilmente, era stato anche lui a contribuire a quella fine, forse una grande fetta di torta, sicuramente, apparteneva a Edo, lui insieme alla sua banda, ad ogni singolo studente della Justice Accademy, ad ogni sguardo che aveva fatto finta di non vedere, ad ogni risata che le prese in giro avevano scaturito, ad ogni parola offensiva che si aveva speso.
Il corpo fu portato via, venne messo su di una barella, a peso morto, e portato all’esterno, bisognava occultare il cadavere, cercare di nascondere il suicidio, lo scandalo, il disonore che sarebbe piovuto sulla scuola. Il preside immediatamente pronto a soddisfare ogni richiesta dei familiari sarebbe stata esaudita al solo scopo di arrivare al silenzio, al tacere delle vittime: Cosa avrebbe permesso, però, il silenzio degli studenti? Cosa dava tanta sicurezza al Preside D’amico che amici e parenti sarebbero stati zitti e avrebbero sofferto in silenzio?
Diego: "Al tuo posto uscirei se non vuoi ritrovarti in posizioni un po' scomode. Ho molta voglia, e di certo non mi metterei a considerare la tua volontà, mi sembra scontato dirlo" -continuando a sistemarsi la zip in modo alquanto attraente, la ragazza stava provando qualcosa di strano, qualcosa che prima di quel momento difficilmente aveva sentito-
Aurora: "Hai visto Edo?.. Forse, per una volta nella tua vita, potresti essermi utile.." -temendo comunque una reazione alquanto inaspettata, rientrando nella paura all’incrocio dello sguardo del grande uomo, ma era una paura immaginaria, questa volta gli occhi di Diego non trasmettevano nulla di negativo, neanche positivo, che questo sia chiaro, sembrava come impassibile difronte alla richiesta della ragazza, non inorridito, non ammirato, non gioioso, ci mancherebbe, e con un tono che non lasciava spazio a fraintendimenti, disse-
Diego: "Magari! Primo perché oggi non ha fatto quello che per dovere dovrebbe fare, quella femminuccia, e poi perché mi ha fatto aspettare senza motivo, mi ha solo fatto perdere tempo prezioso che potevo spendere in mensa! Se lo trovi portalo da me, almeno ci divertiremo un po' a 3 che ne dici?" -camminando verso di lei, avvicinandosi al suo viso in modo alquanto malizioso, provocatorio, maledettamente attraente, Aurora non poteva che non notarlo, era impossibile-.
Con fare lesto, premé sui suoi pettorali, allontanandolo dal suo corpo, riacquisendo identità di sé stessa, e soprattutto la giusta distanza che in quei casi era meglio avere, se non si voleva compiere il primo passo verso il pentimento. Un sorrisetto comparse sul volto del muscoloso ragazzo, impossibile capirne la verità che si celava dietro a quell’espressione, compiacimento, buffoneria, presa in giro, umorismo, cosa trarre da quel sorriso rimase un mistero, un segreto che Aurora voleva scoprire, incuteva in lei un’estrema curiosità, impossibile però da colmare, sarebbe stato il secondo passo verso il pentimento.
Aurora: "A quanto pare non puoi essermi utile, pensavo che almeno fossi fonte di informazione, e invece.." -lasciò il bagno degli uomini, mentre Diego apparse impassibile a quelle parole, non aggiunse nulla e non mosse un dito, rimase solo lì fermo, mentre l’espressione facciale fece ritorno alle sue origini, come se nulla fosse accaduto, come se l’ennesima maschera fosse stata indossata per apparire ciò che in realtà non era, ma è la verità? O sono solo domande che frullano nella testa di Aurora perché in fondo, nei meandri più nascosti del suo cuore, credeva, sperava in una sua diversa identità, un pentimento, un carattere nuovo, pulito, fresco ed impuro-.
Nonostante i migliori film e pensieri frullarono nella testa della giovane ragazza, questa non si arrese, continuò le sue ricerche alla volta di Edo, come scomparso, eppure da qualche parte doveva pur essere. Pensò al trio di Naja, Erasmo e Joseph, ma con loro non poteva essere dato che quando aveva lasciato la mensa, loro erano ancora lì, mentre pranzavano beatamente con le coscienze che svolazzavano per aria, le loro come tutte quelle delle persone in quella stanza, troppo piccola per contenerle tutte. Scese ai piedi bassi, decise di dirigersi in palestra, nel luogo che più Edo odiava, forse perché era l’occasione perfetta per mettere in risalto il corpo, ogni sua parte, almeno le superficiali, le ben visibili, quelle che più odiava, ma perché dirigersi lì? Ne aveva motivo? Vide improvvisamente correre una bidella nella sua direzione, ma le passò accanto velocemente, come un razzo, distratta, esterrefatta, stupita, inconsapevole della triste realtà, Aurora continuò a percorrere quel breve corridoio che si apriva ad una conclusione, ad una porta la quale si spalancava proprio nel grande padiglione occupato dalla palestra. Oltrepassò la porta e rimase inizialmente sorpresa, non riusciva a vedere cosa stesse succedendo nell’estremo angolo del padiglione, questo molto grande, largamente esteso per permettere l’accesso alla palestra a più classi in contemporanea. Percorse normalmente, ignara di tutto, l’intera palestra, passò oltre il campo da basket e quella da pallavolo, e riuscì finalmente, o purtroppo, a fare visione della triste realtà: rallentò il passo, il suo viso sbiancò, gli occhi iniziarono a luccicare e a spalancarsi, avvicinò le mani alla bocca come a cercare di trattenere l’urlo, e solo dopo corse al centro della scena. Edo, appeso, una pesante e vecchia fune lo aveva stretto al collo, con il corpo che dondolava, delicatamente si muoveva in aria, mentre una scala era stata come gettata a terra violentemente, lasciata cadere, spintonata. Aurora corse, corse più veloce che poteva, voleva salvarlo, cercare di fare un ultimo ed estremo salvataggio, voleva prevenire e leccare anche questa ferita, ma ciò non fu possibile, questa volta la lesione era troppo profonda, il coltello aveva ormai lacerato ogni tessuto, ogni capillare, ogni cellula, ormai quella parte era stata destinata solo all’amputazione, l’unica soluzione, disperata, ma una soluzione. Il dolore era troppo forte, lancinante, lacerante, ammagliante, distruttivo, fastidioso, premente, fisso e conciso, ormai farla finita era l’unica forma di libertà che a Edo era rimasta, la prima e l’ultima decisione che il ragazzo era riuscito a prendere da indipendente, da uomo coraggioso, da un umano che ha voluto essere ciò che desiderava, ciò per cui è stato giudicato, privato della libertà di essere chiunque e di essere nessuno, privato della sua volontà, la possibilità di scegliere, di diventare, di esistere, essere Edo come non esserlo. Nessuno lo aveva toccato, era rimasto lì, a penzolare, tutti coloro che ammiravano il triste panorama rimasero sbigottiti, estraniati dal crudele ed estremo gesto del giovane, tutti rimpiangevano la sua esistenza, tutti lo commiseravano, tutti provarono pietà in quell’attimo: Aurora invece pianse. Tralasciò ogni sguardo, ogni altro sentimento che contornava la scena, si concentrò in modo molto spontaneo sul suo dolore, il fallimento era troppo grande, non era stata colei che avrebbe voluto essere: ogni sforzo, ogni schiaffo beccato, ogni prevenzione, ogni cura, ogni parola, ogni abbraccio, tutto era stato inutile, e solo in quel momento Aurora era stata capace di capire quanto sbagliata fosse stata ogni sua azione, quanto sbagliate fossero le proprie posizioni, quanto sbagliata fosse stata con Edo. Si strinse ai suoi piedi, voleva sollevarlo, cercare ancora di prevenire il danno, curarlo, voleva ancora, anche con la morte, proteggere l’amico che tanto l’aveva aiutata, ma lei non era riuscita a fare lo stesso come davvero il giovane meritava, lo aveva solo creduto. Finalmente la bidella che prima aveva sfiorato come il vento la calma Aurora, adesso stava ritornando con un altro collaboratore scolastico, seguito da una massa di studenti non indifferente, quasi tutti coloro che erano in mensa, data la pubblicità che ne era stata fatta della morte di Edo. L’uomo salì sulla scala che Edo aveva utilizzato per compiere i suoi ultimi gradini prima di cadere nel baratro, la poggiò all’alto canestro da basket, alla grande struttura che lo sorreggeva, salì trepidante e con molta difficoltà cercò di tagliare la fune che stringeva al collo il giovane ormai appassito. Impacciato, incapace, timoroso, tremendamente in ansia, ricorse ad un taglio, che originariamente doveva essere netto, ma che si trasformò in un maciullo di filacci, senza riuscire a liberare dalle catene la povera vittima: l’ultimo taglio ed il corpo cadde tra le braccia di altri 2 uomini che attendevano a terra lo slaccio della fune. Vi fu solo silenzio, nessuno parlò, i nemici, gli amici, gli sconosciuti, gli ignari, gli adulti, gli ignavi, nessuno, nessuno osò plagiare quel momento, perché la morte non dà fiato ai vivi e lo toglie ai morti, perché difronte alla morte non c’è forza che tenga, non c’è ideale che tenga, non c’è speranza, non c’è gioia, non c’è spiegazione, solo “è così che doveva andare”. Aurora continuò a piangere, distesa sul pavimento, cercando di accostare al suo petto il povero amico, in fin di vita, a peso morto, pesante come un macigno, con l’anima leggere come una piuma, non c’era spazio ai perché, al come, al quando, l’anima, il cuore, la mente, erano annebbiate dal solo dolore, quello bastava e avanzava. Nessun’altro osò piangere, solo il rispettoso, apparente, silenzio, eppure il chiacchiericcio di sottofondo non mancò, si fece sentire in quel padiglione dove il suono si scontrava contro le pareti, dove tutto era ridondante, dove ogni parola era ripetuta per due, dove ogni espressione trovava la sua chiarezza. In mezzo al pubblico studentesco e non vi era anche il quartetto: Diego guardò, non si impressionò alla vista del morto Edo, ma piuttosto rimase alquanto sbigottito dal dolore di Aurora, un dolore sincero, un sentimento sentito, tattile, trasparente, senza filtri, non vi era nessun tipo di vergogna nel suo pianto, non vi era imbarazzo seppur un branco di studenti la stessero guardando, la stessero denigrando, si vergognavano loro per lei, per il suo dolore, come se anche difronte alla morte bisognasse rimanere composti, impassibili, distaccati. Naja, Erasmo e Joseph non si risparmiarono battute squallide, indecenti, estranee a quella situazione, non ebbero rispetto, ma almeno non lo occultarono con finto dolore, con una maschera che era più falsa di quella dei teatri classici. Seguito dagli studenti, arrivò anche il rinomato Preside della Justice Accademy, il quale riuscì ad indossare una delle sue facce più belle, classiche, comode all’uso, sempre pronte ad essere cacciate dall’armadio, adatte ad ogni occasione, ad ogni inconveniente..
Preside D’amico: "Ma questa è una disgrazia! Com’è potuto succedere.. O Signore.." -azzardando un segno della croce frettoloso, sconvolto, con uno sguardo inorridito, sbigottito, quasi sul punto del pianto- "Avete già chiamato il 118?! Povero ragazzo.. Lei chi è mi scusi?" -rivolgendosi sbadatamente alla piangente Aurora, come se lui non riuscisse a capire la vera funzione, a livello teatrale, della ragazza, piegata sul petto del suo amico, continuando a piangere senza badare alla domanda dell’autorità-
Il Preside non ricevette risposta. Si continuò a sentire solo il rumore del pianto della ragazza e il vociferare in sottofondo, ma nessuno, né Aurora, né le sue amiche che erano lì, addolorate, affrante, deluse da loro stesse per non aver riconosciuto le buone intenzioni della ragazza, per averla tradita, lasciata da sola nel ring, sul campo di battaglia contro un branco di leoni, nessuno osò interrompere, correggere, risistemare i moduli tragici del Preside, tanto rispettoso quanto ignorante.
Preside D’amico: "Allontanate questa ragazza, chiamate i genitori di questo ragazzino.." -iniziando a togliere dalla faccia il trucco della tragedia con un detergente abrasivo, acido- "..Vediamo di darci una mossa, non ho tutto il giorno! Cerchiamo di non creare troppo scandalo, altrimenti inizieremo a perdere colpi! Vedete di portar via gli studenti, hanno già visto abbastanza, chiamate i genitori e sbrigatevi!.." -disse ai suoi collaboratori, al suo staff, tragico, desolante, fallimentare quanto lui, con tono basso, intimo, riservato, cercando di far capire il poco e il nulla: preservare la sua immagine e quella della Justice Accademy era la sua prima preoccupazione, messa al primo posto, sopra la pulizia, sopra l’ordine, sopra la gestione, sopra la vita, bastava l’apparenza, ciò che dall’esterno si vedeva doveva essere sufficiente-.
Una bidella, come da ordine del Preside, afferrò per le braccia Aurora, cercando di scrollarla di dosso all’ormai morto Edo, questa non oppose resistenza, si sentì solo trascinar via dal suo amico con una dolcezza e affranto da parte della donna, che non voleva, lei in prima persona, strappare così, freddamente, distaccarla dal corpo del suo amico. La allontanò ed insieme lasciarono il padiglione della palestra per dirigersi in un ambiente più tranquillo, lontano dagli sguardi che accompagnarono verso l’uscita la piangente Aurora: non aspettarono oltre, Yuji e Teresa rincorsero la bidella che stava portando via la loro amica, cercando di rimediare all’errore fatto, ormai passato, impossibile da cambiare, bisognava solo chiedere scusa, non solo con le parole, quelle sono troppo facili, dirette, scontate, ma con i fatti, con il calore, l’amore, la vicinanza che in quel momento Aurora doveva avere. Diego non abbandonò mai Aurora, la seguì con gli occhi, non gli stessi degli altri studenti, occhi curiosi, maligni, falsi, ma con un certo affetto, come se in quel momento volesse correre verso di lei ed abbracciarla, regalarle la compagnia della quale più che mai aveva bisogno. Non lo fece, non poté farlo. Rompere il suo mito? Distruggere la sua reputazione? Demolire la persona che era diventata in 5 anni per una ragazzina? Come poteva osare solo di pensare ad una cosa del genere? Lo sguardo che ne avrebbe seguito sarebbe stato di stupore, meraviglia, scandalo: bell’esempio avrebbe dato. Preferì restare lì, ad osservare il corpo morto della sua vittima, cercando di capire che, inevitabilmente, era stato anche lui a contribuire a quella fine, forse una grande fetta di torta, sicuramente, apparteneva a Edo, lui insieme alla sua banda, ad ogni singolo studente della Justice Accademy, ad ogni sguardo che aveva fatto finta di non vedere, ad ogni risata che le prese in giro avevano scaturito, ad ogni parola offensiva che si aveva speso.
Il corpo fu portato via, venne messo su di una barella, a peso morto, e portato all’esterno, bisognava occultare il cadavere, cercare di nascondere il suicidio, lo scandalo, il disonore che sarebbe piovuto sulla scuola. Il preside immediatamente pronto a soddisfare ogni richiesta dei familiari sarebbe stata esaudita al solo scopo di arrivare al silenzio, al tacere delle vittime: Cosa avrebbe permesso, però, il silenzio degli studenti? Cosa dava tanta sicurezza al Preside D’amico che amici e parenti sarebbero stati zitti e avrebbero sofferto in silenzio?