La paura e la sottomissione. Gli studenti non avrebbero mai avuto il coraggio di andare contro il loro preside, contro la loro scuola così spudoratamente, in pasto all’opinione pubblica, un atto coraggioso sicuramente ma era come suicidarsi, non nel pieno concetto della parola, ma era un demolire la propria reputazione, la propria futura carriera che la sola Justice Accademy poteva garantire. E i parenti? I genitori di Edo sarebbero stati zitti? Come? Come potevano occultare anche loro la morte del figlio? Come potevano non desiderare la giustizia meritata? Denaro. La famiglia di Edo era perennemente in crisi, il padre del giovane soffriva di dipendenza patologica da gioco d’azzardo, vizio che gli aveva garantito molte volte ingenti somme di denaro portate a casa, eppure, tante altre, forse troppe e superiori alle vittorie, furono le occasioni in cui il portafoglio, con i guadagni della sera prima, ritornava vuoto, la sua famiglia ritornava povera, passava dall’essere possedente all’essere destinati all’elemosina. Edo non aveva una madre, era orfano di questa, l’unico che componeva la sua famiglia era suo padre, ripieno di amore, disperato alla notizia della morte del figlio, l’unica persona che gli era rimasta, l’unico elemento della sua vita che lo impediva di calarsi, cadere irreparabilmente nel baratro più totale, negli abissi della sua anima, una caduta che mai avrebbe avuto una risalita: nessun supporto, nessuna corda, nessuno a porgli la mano, nessuno lì ad incitarlo, stimolarne l’animo, fare da eco alle sue disperate grida d’aiuto. Senza il minimo velo, filtro, sensibilità, compassione, scrollandosi di dosso ogni forma di amore umano, il preside D’Amico rivelerà a viso aperto la tragica morte del ragazzo, ancora disteso su di una barella, fatto vedere anche al padre del giovane, avvicinatosi lentamente all’ormai sbiancato corpo del figlio, con gli occhi ripieni di lacrime, impauriti, disperati, distaccati. Non voleva toccarlo, non voleva sentire la sua pelle, non voleva vedere il suo viso, non voleva constatare che suo figlio era realmente morto, non voleva guardare in faccia la realtà, non voleva subire una tale sconfitta, non voleva che il proprio tesoro, l’unico che era riuscito a creare, l’unica cosa che non era riuscito a distruggere con le proprie mani, fosse andato perso, anche questo, come tutto.
Preside D’Amico: "Una tragedia, davvero una tragedia.. Purtroppo non abbiamo saputo e potuto apprezzare appieno le capacità del nostro povero.." -affacciando il proprio orecchio ad uno dei professori che stava contornando quella messa in scena, cercando di farsi suggerire il nome del ragazzo- "Del nostro povero Edo! Mancherà a tutti con molto rammarico e tutti lo ricorderanno per la sua straordinaria simpatia. Portatelo via adesso, avrete modo di continuare la veglia a casa, Signor Arelli mi può seguire un attimo, sarà una questione di pochi minuti, poi la lascerò alla sua commemorazione" -cercando di restringere il più possibile la rappresentazione del proprio personale ricordo del Preside D’amico, pari a meno di zero, riusciva a ricordare solo il tariffario annuo che il giovane, come tutti, doveva pagare per rimanere in quella scuola, richiamando poi a sé il padre di Edo-
Si distaccarono da tutti, dai professori, dai pochi studenti usciti fuori, corsi ad ammirare la scena per l’ultima volta, dal grande staff del Preside D’amico, accompagnato soltanto dalla sua fedele vice-preside, nonché sua amante, a discapito della moglie del primo, con la testa ormai ripiena di corna, le migliori, dalle più duratura a quella di “una notte e via”. Distaccatosi da tutti, si ritrovò a parlare con il padre di Edo, Francesco Arelli, affranto, assente, disperato, desideroso solo di accompagnare per gli ultimi chilometri il figlio alla propria abitazione, povera in tutto e per tutto, umile, forse troppo, in attesa di commemorarlo solo, in una solitudine desiderata da Francesco in prima persone, semplicemente perché non voleva mettere in ridicolo lui e suo figlio nella messa in pubblico della loro condizione domiciliare. Distrattamente il signor Arelli diede un briciolo della sua attenzione al Preside D’Amico, seppur il primo continuasse a rivolgere il triste sguardo al figlio disteso:
Preside D’amico: "Signor Arelli, io e il mio staff conosciamo la sua condizione familiare, sappiamo della tua dipendenza patologica dal gioco d’azzardo, siamo a conoscenza dello stato, a dir poco, ripugnante in cui versa la propria famiglia, perciò se permettete.." -facendosi passare dalla vice-preside che l’accompagnava, versando su lei delle occhiate maliziose, desiderose di carne- "Questo potrebbe cambiarle la vita.." -aprendo le mani dell’interlocutore e riponendo fra di esse la valigetta contenente un’ingente somma di denaro, indecifrabile poiché il padre di Edo decise di non aprirla difronte, in segno di rispetto, alla persona che con tanto amore, ingenuamente pensava, gli aveva concesso una simile grazia-
Francesco A.: "Grazie mille Signor Preside.. La ringrazio infinitamente.. Edo ne sarebbe sicuramente contento, lui era la mia famiglia, lui era mio amico, mio figlio, mio nemico, mio tutto.. Perso lui, ho perso tutto.." -riversando centinaia e centinaia di lacrime che senza freni sgorgavano lungo le sue rugose guance, idratando quella cute secca, malcurata, ruvida, squamosa più del normale-.
Inaspettatamente il preside stentò dal togliere le sue sporche mani dalla presa della valigetta che, apparentemente, amorevolmente aveva posto in quelle del padre affranto. Aspettava qualcosa, oltre ai ringraziamenti, futili parole messe una dopo l’altra, convenzionali, parole tradizionali, scontate, o almeno questo era ciò che pensava dei “ringraziamenti” il preside: per lui ringraziare non era dimostrare la propria gratitudine, dare voce, con le parole, a quanto di bene avesse fatto. Se non si aveva modo di ringraziare col denaro, col potere, con l’aiuto concreto, il Preside D’amico, rinomato personaggio della Justice Accademy, non avrebbe mai garantito il suo aiuto, che sia economico o che sia adoperato seguendo il grande potere concentrato nelle sue mani. Francesco Arelli rimase stupito, restò per un momento stranito dal comportamento del generoso Preside, ancora con le mani ferme e ben saldate alla valigetta:
Francesco A.: "Signor Preside.. Io.. Dovrei andare.." -cercando, leggermente, di tirare a sé la valigetta che gli era stata donata, senza però destare troppa attenzione agli occhi del benefattore e a quelli della vice-preside che lo affiancava-
Preside D’amico: "Come tu oggi hai perso tutto ciò che avevi, io lo persi all’età di 18 anni, persi mio padre, la mia ancora di salvezza, l’esempio che volevo e dovevo assolutamente seguire. Era ricco, molto ricco, tradiva mia madre con centinaia e centinaia di donne, una dopo l’altra, del resto poteva permetterselo: alle Hawaii, a Tokyo, a Londra, in ogni parte del mondo nasceva una fiamma, e mia madre cosa faceva? Se ne stava zitta e muta perché le faceva comodo. Per amore perdere il denaro? Non le è mai, e dico mai, sfiorato il pensiero nella mente che potesse lasciare mio padre perché l’aveva tradita, si sarebbe solo ritrovata più povera di prima, dato che ogni cosa che aveva le era garantita da mio padre. Quando morì lei ereditò tutto e cosa ha fatto? Niente, almeno non per lei. Mi ha lasciato studiare, ha speso una sostanziale cifra per farmi studiare, come se questo fosse importante, e ora se ne sta da sola, anzi con la sua badante, in una villa di campagna, “in pace con la natura”, come dice lei, tsk.." -il padre addolorato ascoltò ed osservò stranito, chiedendosi il perché di quel racconto, il perché gli stesse narrando la sua storia seppur esso non gliel’abbia chiesta, eppure non poteva far altro che ascoltare, doveva dimostrarsi compiaciuto, desideroso di ascoltare, doveva apprezzare un qualcosa del quale non gliene fregava proprio nulla- "Vedo che la mia storia ti interessa, ma i patti restano e saranno patti. Quella valigetta, che potete tranquillamente aprire per verificare, in cambio del silenzio" -non badò troppo al permesso che gli era stato concesso, ma piuttosto al “silenzio” al quale il preside stava facendo riferimento-
Francesco A.: "Mi scusi, quale silenzio..?" -chiese ingenuamente, al contempo una risposta secca ricevette-
Preside D’amico: "Nessuno dovrà sapere che vostro figlio è morto qui, in questa scuola, non portatelo all’ospedale perché ormai è morto, sbiancato direi, non fatene parola con nessuno, potete dire che aveva una malattia grave incurabile, povero piccolo, potete dire che è finito stirato sotto una macchina, i pirati della strada trafficano molto in questo periodo, oppure vi concedo il lusso della verità, seppur io la disprezzi, che vostro figlio, per qualche inspiegabile motivo, si è suicidato, legatosi una corda al collo, caduto dalla sedia, e addio circolazione respiratoria: vi ho dato una moltitudine di scelta, l’unica cosa che non dovrete dire è che questo piccolo incidente non è avvenuto in questa scuola, chiaro?" -una voce leggera, troppo, liberatoria, un uomo d’affari che si rivolge ad un povero uomo in crisi con sé stesso e con gli altri, ad un uomo che ha perso suo figlio, ha perso tutto, un uomo d’affari che propone al padre della vittima di occultare tutto e farlo passare per quello che non è-.
Francesco non sapeva cosa fare, continuava a reggere la valigetta, non voleva mollarla, in quella poteva esserci una quantità di denaro sufficiente per estinguere la sua esistenza da centinaia di debiti che nel corso della sua vita aveva accumulato, uno dopo l’altro senza mai estinguerne nessuno. Il Preside aspettava di certo una risposta lì, sul momento, secca e decisa, sicuramente positiva per lui, forse anche per Francesco, se si guarda al lato economico ma a quello morale chi volge lo sguardo? Francesco era indeciso: doveva perseguire il benessere, il denaro che tante volte lo aveva reso felice, più della sua stessa famiglia, e tante altrettante volte lo aveva reso povero e disperato, una relazione amorosa intrinseca, concatenata, ambivalente, fatta di amore e odio, felicità e disperazione, lacrime che si dividevano fra la gioia e il dolore. Doveva forse perseguire la morale? La più sottovalutata, scontata, scartata il più delle volte, preferita sempre ad altro o altri, mai considerata, chissà perché. Forse è nel giusto? Forse è l’unica cosa che ci permette di essere uomini e donne giusti e giuste? Spesso ciò che vuole la morale, la nostra morale, non è il perfetto riflesso della nostra volontà, di ciò che realmente vogliamo dalla nostra vita, da quell’occasione, da quell’attimo. Viene spesso detto di sfruttare quel treno che solo una volta nella vita passa, e per Francesco quel treno passerà solo quella volta, non avrà un secondo figlio che morirà in quella scuola, non avrà più un figlio, una moglie, nulla che possa garantirgli una seconda possibilità, un secondo treno, per il denaro come per la famiglia. Un’apoteosi apparentemente infinita, due strade che a destra e sinistra si aprivano, segnavano due percorsi, entrambi impervi, entrambi spettrali, sconosciuti, ignoti, inesplorati.
Preside D’amico: "Signor Arelli io attendo una risposta, non vorrei stare qui tutto il giorno a badare a voi e a vostro figlio, sapete ho molto di meglio da fare.." -ponendo un braccio dietro la schiena della vice-preside, stringendola a lui, mentre in entrambi vigeva il fuoco della passione, la voglia irrefrenabile di dare sfogo agli ambedue spiriti animaleschi- "Allora?" -cercando di dare fretta al padre affranto ma non troppo-
Francesco Arelli: "Accetto.." -a gran voce, con una certa sicurezza, come a voler dare un senso alla morte del figlio, come a rimediare ai suoi errori usufruendo di Edo, di lui che sempre lo aveva aiutato e che anche questa volta lo stava facendo, ormai diventata un’abitudine, fastidiosa, estrema ormai, ma abitudine-
Preside D’amico: "La risposta che mi aspettavo! Congratulazione signor Arelli, questa è sua!" -mollando finalmente la presa dalla valigetta, l’unico fardello che ormai vigeva nella mente di Francesco, che riuscì a stringerla al sé come non aveva fatto neanche con la moglie in punto di morte- "Andiamo Matilde, noi abbiamo del lavoro da fare" -la vice-preside pose i suoi saluti e condoglianze al signor Arelli e lo abbandonò a fare i conti con la sua coscienza, seguendo passo dopo passo il Preside, con lo sguardo e con le gambe, senza mai distanziarsi troppo da lui, come se fosse la sua protetta, come se il Preside D’amico fosse uno scudo umano e non, in grado di pararla da qualsiasi colpo-.
Francesco presa la valigetta, non invisibile di certo agli occhi del pubblico, dei professori, del personale scolastico, ma in virtù della legge del silenzio, della segretezza, rispettata dagli alunni in vigore di ciò che avrebbero perso se avessero parlato, quanto dai professori, dai collaboratori scolastici: tutti avevano qualcosa da perdere. Chi la carriera, chi lo stipendio, chi il futuro. Francesco si avvicinò a suo figlio, si chinò verso di lui, lo baciò sulla fronte, sostando su questa comincia di nuovo a piangere, sfogare tutto il suo dolore, come accantonato nel discorso con il Preside: non sapeva se pentirsi, non sapeva se aveva fatto la cosa giusta, cosa avrebbe pensato Edo del comportamento del padre? Come lo avrebbe giudicato? E ancora, lo avrebbe giudicato? Edo è sempre stato vittima di bullismo, è sempre stato posto difronte ad un tribunale inquisitorio, veniva sempre messo difronte alle proprie paure, timori, debolezze. Non avrebbe mai giudicato il padre, non l’ha mai giudicato, né in vita né in morte: quello era pur sempre suo padre, ed anche dopo essere stato falciato dalla morte, non avrebbe fatto quello che in vita mai si sarebbe sognato di fare.
???: "Non piangere.. ti prego.. Non posso che starci male vedendoti in questo stato.." -una voce echeggiante, lontana, rimbombante, spenta, come morta, il soggetto parlante sentì uscire questo prodotto dalle proprie corde vocali, sorprendendosi, di essere lì, di vedere quel corpo deceduto, sbiancato, quelle lacrime che abbeveravano quella pelle ormai morta, forse troppe lacrime, non voleva questo, non voleva causare questo: non ha fatto altro che peggiorare una situazione già di per sé difficoltosa-.
Preside D’Amico: "Una tragedia, davvero una tragedia.. Purtroppo non abbiamo saputo e potuto apprezzare appieno le capacità del nostro povero.." -affacciando il proprio orecchio ad uno dei professori che stava contornando quella messa in scena, cercando di farsi suggerire il nome del ragazzo- "Del nostro povero Edo! Mancherà a tutti con molto rammarico e tutti lo ricorderanno per la sua straordinaria simpatia. Portatelo via adesso, avrete modo di continuare la veglia a casa, Signor Arelli mi può seguire un attimo, sarà una questione di pochi minuti, poi la lascerò alla sua commemorazione" -cercando di restringere il più possibile la rappresentazione del proprio personale ricordo del Preside D’amico, pari a meno di zero, riusciva a ricordare solo il tariffario annuo che il giovane, come tutti, doveva pagare per rimanere in quella scuola, richiamando poi a sé il padre di Edo-
Si distaccarono da tutti, dai professori, dai pochi studenti usciti fuori, corsi ad ammirare la scena per l’ultima volta, dal grande staff del Preside D’amico, accompagnato soltanto dalla sua fedele vice-preside, nonché sua amante, a discapito della moglie del primo, con la testa ormai ripiena di corna, le migliori, dalle più duratura a quella di “una notte e via”. Distaccatosi da tutti, si ritrovò a parlare con il padre di Edo, Francesco Arelli, affranto, assente, disperato, desideroso solo di accompagnare per gli ultimi chilometri il figlio alla propria abitazione, povera in tutto e per tutto, umile, forse troppo, in attesa di commemorarlo solo, in una solitudine desiderata da Francesco in prima persone, semplicemente perché non voleva mettere in ridicolo lui e suo figlio nella messa in pubblico della loro condizione domiciliare. Distrattamente il signor Arelli diede un briciolo della sua attenzione al Preside D’Amico, seppur il primo continuasse a rivolgere il triste sguardo al figlio disteso:
Preside D’amico: "Signor Arelli, io e il mio staff conosciamo la sua condizione familiare, sappiamo della tua dipendenza patologica dal gioco d’azzardo, siamo a conoscenza dello stato, a dir poco, ripugnante in cui versa la propria famiglia, perciò se permettete.." -facendosi passare dalla vice-preside che l’accompagnava, versando su lei delle occhiate maliziose, desiderose di carne- "Questo potrebbe cambiarle la vita.." -aprendo le mani dell’interlocutore e riponendo fra di esse la valigetta contenente un’ingente somma di denaro, indecifrabile poiché il padre di Edo decise di non aprirla difronte, in segno di rispetto, alla persona che con tanto amore, ingenuamente pensava, gli aveva concesso una simile grazia-
Francesco A.: "Grazie mille Signor Preside.. La ringrazio infinitamente.. Edo ne sarebbe sicuramente contento, lui era la mia famiglia, lui era mio amico, mio figlio, mio nemico, mio tutto.. Perso lui, ho perso tutto.." -riversando centinaia e centinaia di lacrime che senza freni sgorgavano lungo le sue rugose guance, idratando quella cute secca, malcurata, ruvida, squamosa più del normale-.
Inaspettatamente il preside stentò dal togliere le sue sporche mani dalla presa della valigetta che, apparentemente, amorevolmente aveva posto in quelle del padre affranto. Aspettava qualcosa, oltre ai ringraziamenti, futili parole messe una dopo l’altra, convenzionali, parole tradizionali, scontate, o almeno questo era ciò che pensava dei “ringraziamenti” il preside: per lui ringraziare non era dimostrare la propria gratitudine, dare voce, con le parole, a quanto di bene avesse fatto. Se non si aveva modo di ringraziare col denaro, col potere, con l’aiuto concreto, il Preside D’amico, rinomato personaggio della Justice Accademy, non avrebbe mai garantito il suo aiuto, che sia economico o che sia adoperato seguendo il grande potere concentrato nelle sue mani. Francesco Arelli rimase stupito, restò per un momento stranito dal comportamento del generoso Preside, ancora con le mani ferme e ben saldate alla valigetta:
Francesco A.: "Signor Preside.. Io.. Dovrei andare.." -cercando, leggermente, di tirare a sé la valigetta che gli era stata donata, senza però destare troppa attenzione agli occhi del benefattore e a quelli della vice-preside che lo affiancava-
Preside D’amico: "Come tu oggi hai perso tutto ciò che avevi, io lo persi all’età di 18 anni, persi mio padre, la mia ancora di salvezza, l’esempio che volevo e dovevo assolutamente seguire. Era ricco, molto ricco, tradiva mia madre con centinaia e centinaia di donne, una dopo l’altra, del resto poteva permetterselo: alle Hawaii, a Tokyo, a Londra, in ogni parte del mondo nasceva una fiamma, e mia madre cosa faceva? Se ne stava zitta e muta perché le faceva comodo. Per amore perdere il denaro? Non le è mai, e dico mai, sfiorato il pensiero nella mente che potesse lasciare mio padre perché l’aveva tradita, si sarebbe solo ritrovata più povera di prima, dato che ogni cosa che aveva le era garantita da mio padre. Quando morì lei ereditò tutto e cosa ha fatto? Niente, almeno non per lei. Mi ha lasciato studiare, ha speso una sostanziale cifra per farmi studiare, come se questo fosse importante, e ora se ne sta da sola, anzi con la sua badante, in una villa di campagna, “in pace con la natura”, come dice lei, tsk.." -il padre addolorato ascoltò ed osservò stranito, chiedendosi il perché di quel racconto, il perché gli stesse narrando la sua storia seppur esso non gliel’abbia chiesta, eppure non poteva far altro che ascoltare, doveva dimostrarsi compiaciuto, desideroso di ascoltare, doveva apprezzare un qualcosa del quale non gliene fregava proprio nulla- "Vedo che la mia storia ti interessa, ma i patti restano e saranno patti. Quella valigetta, che potete tranquillamente aprire per verificare, in cambio del silenzio" -non badò troppo al permesso che gli era stato concesso, ma piuttosto al “silenzio” al quale il preside stava facendo riferimento-
Francesco A.: "Mi scusi, quale silenzio..?" -chiese ingenuamente, al contempo una risposta secca ricevette-
Preside D’amico: "Nessuno dovrà sapere che vostro figlio è morto qui, in questa scuola, non portatelo all’ospedale perché ormai è morto, sbiancato direi, non fatene parola con nessuno, potete dire che aveva una malattia grave incurabile, povero piccolo, potete dire che è finito stirato sotto una macchina, i pirati della strada trafficano molto in questo periodo, oppure vi concedo il lusso della verità, seppur io la disprezzi, che vostro figlio, per qualche inspiegabile motivo, si è suicidato, legatosi una corda al collo, caduto dalla sedia, e addio circolazione respiratoria: vi ho dato una moltitudine di scelta, l’unica cosa che non dovrete dire è che questo piccolo incidente non è avvenuto in questa scuola, chiaro?" -una voce leggera, troppo, liberatoria, un uomo d’affari che si rivolge ad un povero uomo in crisi con sé stesso e con gli altri, ad un uomo che ha perso suo figlio, ha perso tutto, un uomo d’affari che propone al padre della vittima di occultare tutto e farlo passare per quello che non è-.
Francesco non sapeva cosa fare, continuava a reggere la valigetta, non voleva mollarla, in quella poteva esserci una quantità di denaro sufficiente per estinguere la sua esistenza da centinaia di debiti che nel corso della sua vita aveva accumulato, uno dopo l’altro senza mai estinguerne nessuno. Il Preside aspettava di certo una risposta lì, sul momento, secca e decisa, sicuramente positiva per lui, forse anche per Francesco, se si guarda al lato economico ma a quello morale chi volge lo sguardo? Francesco era indeciso: doveva perseguire il benessere, il denaro che tante volte lo aveva reso felice, più della sua stessa famiglia, e tante altrettante volte lo aveva reso povero e disperato, una relazione amorosa intrinseca, concatenata, ambivalente, fatta di amore e odio, felicità e disperazione, lacrime che si dividevano fra la gioia e il dolore. Doveva forse perseguire la morale? La più sottovalutata, scontata, scartata il più delle volte, preferita sempre ad altro o altri, mai considerata, chissà perché. Forse è nel giusto? Forse è l’unica cosa che ci permette di essere uomini e donne giusti e giuste? Spesso ciò che vuole la morale, la nostra morale, non è il perfetto riflesso della nostra volontà, di ciò che realmente vogliamo dalla nostra vita, da quell’occasione, da quell’attimo. Viene spesso detto di sfruttare quel treno che solo una volta nella vita passa, e per Francesco quel treno passerà solo quella volta, non avrà un secondo figlio che morirà in quella scuola, non avrà più un figlio, una moglie, nulla che possa garantirgli una seconda possibilità, un secondo treno, per il denaro come per la famiglia. Un’apoteosi apparentemente infinita, due strade che a destra e sinistra si aprivano, segnavano due percorsi, entrambi impervi, entrambi spettrali, sconosciuti, ignoti, inesplorati.
Preside D’amico: "Signor Arelli io attendo una risposta, non vorrei stare qui tutto il giorno a badare a voi e a vostro figlio, sapete ho molto di meglio da fare.." -ponendo un braccio dietro la schiena della vice-preside, stringendola a lui, mentre in entrambi vigeva il fuoco della passione, la voglia irrefrenabile di dare sfogo agli ambedue spiriti animaleschi- "Allora?" -cercando di dare fretta al padre affranto ma non troppo-
Francesco Arelli: "Accetto.." -a gran voce, con una certa sicurezza, come a voler dare un senso alla morte del figlio, come a rimediare ai suoi errori usufruendo di Edo, di lui che sempre lo aveva aiutato e che anche questa volta lo stava facendo, ormai diventata un’abitudine, fastidiosa, estrema ormai, ma abitudine-
Preside D’amico: "La risposta che mi aspettavo! Congratulazione signor Arelli, questa è sua!" -mollando finalmente la presa dalla valigetta, l’unico fardello che ormai vigeva nella mente di Francesco, che riuscì a stringerla al sé come non aveva fatto neanche con la moglie in punto di morte- "Andiamo Matilde, noi abbiamo del lavoro da fare" -la vice-preside pose i suoi saluti e condoglianze al signor Arelli e lo abbandonò a fare i conti con la sua coscienza, seguendo passo dopo passo il Preside, con lo sguardo e con le gambe, senza mai distanziarsi troppo da lui, come se fosse la sua protetta, come se il Preside D’amico fosse uno scudo umano e non, in grado di pararla da qualsiasi colpo-.
Francesco presa la valigetta, non invisibile di certo agli occhi del pubblico, dei professori, del personale scolastico, ma in virtù della legge del silenzio, della segretezza, rispettata dagli alunni in vigore di ciò che avrebbero perso se avessero parlato, quanto dai professori, dai collaboratori scolastici: tutti avevano qualcosa da perdere. Chi la carriera, chi lo stipendio, chi il futuro. Francesco si avvicinò a suo figlio, si chinò verso di lui, lo baciò sulla fronte, sostando su questa comincia di nuovo a piangere, sfogare tutto il suo dolore, come accantonato nel discorso con il Preside: non sapeva se pentirsi, non sapeva se aveva fatto la cosa giusta, cosa avrebbe pensato Edo del comportamento del padre? Come lo avrebbe giudicato? E ancora, lo avrebbe giudicato? Edo è sempre stato vittima di bullismo, è sempre stato posto difronte ad un tribunale inquisitorio, veniva sempre messo difronte alle proprie paure, timori, debolezze. Non avrebbe mai giudicato il padre, non l’ha mai giudicato, né in vita né in morte: quello era pur sempre suo padre, ed anche dopo essere stato falciato dalla morte, non avrebbe fatto quello che in vita mai si sarebbe sognato di fare.
???: "Non piangere.. ti prego.. Non posso che starci male vedendoti in questo stato.." -una voce echeggiante, lontana, rimbombante, spenta, come morta, il soggetto parlante sentì uscire questo prodotto dalle proprie corde vocali, sorprendendosi, di essere lì, di vedere quel corpo deceduto, sbiancato, quelle lacrime che abbeveravano quella pelle ormai morta, forse troppe lacrime, non voleva questo, non voleva causare questo: non ha fatto altro che peggiorare una situazione già di per sé difficoltosa-.