I fondi del Recovery Plan possono salvare la ricerca italiana. Mentre altri Paesi europei, come Francia e Germania, pensano di utilizzare il finanziamento per la ripresa dopo la pandemia di Covid-19 per potenziare il loro sistema della ricerca, l'Italia, invece, rischia di restare inesorabilmente indietro, rinunciando a potenziare un settore cruciale per lo sviluppo e la ricchezza del Paese. "Abbiamo lanciato finora molti appelli in questo senso, ma senza ricevere risposte precise", dice all'ANSA il fisico Luciano Maiani.
Autore di ricerche di livello internazionale e con una lunga esperienza nella gestione della ricerca prima come presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e poi come direttore generale del Cern e come presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Maiani non condivide affatto quello che considera una sorta di "mantra della ricerca che si ripete ormai da decenni", ossia la convinzione che "poiché ormai della natura sappiamo tutto, si deve spingere sulle applicazioni a livello dell'industria per favorire lo sviluppo.
"E' un mantra sbagliato: non sappiamo tutto e anche in Italia dovremmo avere imparato che le nuove conoscenze sono semi per sviluppi inattesi. Altri Paesi - osserva - lo hanno già capito, a partire dalla Cina che investe per favorire talenti e nuove conoscenze; gli Stati Uniti si stanno risvegliando e in Europa Francia e Germania lo hanno capito bene, tanto che rispetto all'Italia spendono da 1,5 a 2 volte in più per la ricerca".
Per Maiani "è chiaro che in queste condizioni non possiamo resistere. La mia diagnosi è che il sistema della ricerca italiana non ha soldi: enti e università ricevono finanziamenti appena sufficienti per coprire stipendi e spese di base". Quanto al valore della ricerca di base, "non dimentichiamo che la virologia era considerata inutile fino a un anno fa, in quanto alle applicazioni" e "il Cern ha calcolato da tempo che "ogni franco investito nella ricerca di base ne rende tre per le imprese".
Una delle prime conseguenze è che "stiamo assistendo a una fuga di cervelli: i nostri ricercatori vincono finanziamenti europei e poi vanno a lavorare fuori perché in Italia non vedono prospettive".
E' alla luce di questa situazione che lo stesso Maiani, con Ugo Amaldi e altri scienziati il cui prestigio è riconosciuto a livello internazionale hanno proposto, prima al Governo Conte e poi al Governo Draghi, di utilizzare il Recovery Plan per adeguare i finanziamenti per la ricerca italiana "almeno a quelli della Francia", con 15 miliardi in cinque anni: "una cifra confrontabile a quella che gli altri Paesi europei intendono destinare alla ricerca dal Recovery Plan".
Avere più fondi per la ricerca permetterebbe di assegnare finanziamenti per i giovani ricercatori su progetti selezionati con criteri meritocratici, di arruolare più dottori di ricerca e ricercatori a tempo pieno con nuovi concorsi, di potenziare le infrastrutture.
Autore di ricerche di livello internazionale e con una lunga esperienza nella gestione della ricerca prima come presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e poi come direttore generale del Cern e come presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Maiani non condivide affatto quello che considera una sorta di "mantra della ricerca che si ripete ormai da decenni", ossia la convinzione che "poiché ormai della natura sappiamo tutto, si deve spingere sulle applicazioni a livello dell'industria per favorire lo sviluppo.
"E' un mantra sbagliato: non sappiamo tutto e anche in Italia dovremmo avere imparato che le nuove conoscenze sono semi per sviluppi inattesi. Altri Paesi - osserva - lo hanno già capito, a partire dalla Cina che investe per favorire talenti e nuove conoscenze; gli Stati Uniti si stanno risvegliando e in Europa Francia e Germania lo hanno capito bene, tanto che rispetto all'Italia spendono da 1,5 a 2 volte in più per la ricerca".
Per Maiani "è chiaro che in queste condizioni non possiamo resistere. La mia diagnosi è che il sistema della ricerca italiana non ha soldi: enti e università ricevono finanziamenti appena sufficienti per coprire stipendi e spese di base". Quanto al valore della ricerca di base, "non dimentichiamo che la virologia era considerata inutile fino a un anno fa, in quanto alle applicazioni" e "il Cern ha calcolato da tempo che "ogni franco investito nella ricerca di base ne rende tre per le imprese".
Una delle prime conseguenze è che "stiamo assistendo a una fuga di cervelli: i nostri ricercatori vincono finanziamenti europei e poi vanno a lavorare fuori perché in Italia non vedono prospettive".
E' alla luce di questa situazione che lo stesso Maiani, con Ugo Amaldi e altri scienziati il cui prestigio è riconosciuto a livello internazionale hanno proposto, prima al Governo Conte e poi al Governo Draghi, di utilizzare il Recovery Plan per adeguare i finanziamenti per la ricerca italiana "almeno a quelli della Francia", con 15 miliardi in cinque anni: "una cifra confrontabile a quella che gli altri Paesi europei intendono destinare alla ricerca dal Recovery Plan".
Avere più fondi per la ricerca permetterebbe di assegnare finanziamenti per i giovani ricercatori su progetti selezionati con criteri meritocratici, di arruolare più dottori di ricerca e ricercatori a tempo pieno con nuovi concorsi, di potenziare le infrastrutture.