L'eterno ragazzo dello sci di fondo italiano racconta le sue sensazioni in esclusiva a Eurosport prima dei Mondiali di Val di Fiemme. Il sogno nel cassetto è di poter tornare a splendere con la staffetta, anche se c'è poco ricambio generazionale nella squadra per una grande concomitanza di fattori. Nel frattempo "devo ringraziare Dio per la dura fibra che mi ha regalato"
Stanno per iniziare i Mondiali di Sci Nordico nella suggestiva cornice della Val di Fiemme. Per quanto riguarda lo sci di fondo, l'Italia ha come trascinatore un uomo che ha già visto diverse primavere, ma che non ha ancora intenzione di mollare. E fa bene, perché Giorgio Di Centa è ancora più che competitivo e può dare sempre tanto al movimento italiano. Ecco le sue emozioni in esclusiva per Eurosport.
A 40 anni, sei ancora l’uomo di punta del fondo italiano. E’ gratificante o è una responsabilità pesante?
L'una e l'altra cosa. E' gratificante alla mia età riuscire, con l'impegno costante e la volontà ferrea che mi hanno accompagnato per tutta la mia carriera, riuscire ancora a conseguire risultati da primi dieci in Coppa del Mondo, dove la concorrenza è giovane ma soprattutto di altissimo livello. Credo di dover ringraziare Dio per la dura fibra che mi ha regalato. E' senz'altro una responsabilità per l'esempio che inevitabilmente vengo chiamato a portare alle nuove generazioni, ma non è affatto un peso, la vivo come un dovere sportivo ma anche un privilegio ed è un onore per me.
Qual è il problema per cui in Italia non c’è ricambio e le nuove leve faticano a emergere?
Non c'è un unico problema che ha causato il graduale impoverimento nelle file delle nuove leve che portano ricambio generazionale e la conseguente nascita di nuovi campioni, bensì una serie di circostanze sfavorevoli. La società è profondamente cambiata negli anni, da quando io ero bambino a oggi c'è un abisso. La maggiore scelta di attività per i bambini, la maggiore disponibilità economica ha fatto sì che già da alcuni anni ci fosse una dispersione dei nuovi praticanti. Certamente un'offerta maggiore di campi da esplorare per i nostri figli fornisce nuove opportunità di conoscenza e crescita, ma dall'altra va a sfoltire inevitabilmente quelli che erano i settori tradizionalmente seguiti e praticati nelle nostre comunità montane. Anche un diverso approccio ai piccoli da parte delle famiglie ha reso più difficile la crescita di nuovi fondisti. Quando ero piccolo si andava a sciare ed era un divertimento assoluto, un gioco. Eravamo tantissimi e si giocava sulle piste, ci si bagnava, si prendeva tanto freddo ammalandosi, ci si scannava di fatica negli allenamenti e nelle gare per battersi a vicenda, si imparava ad arrangiarsi e ad essere indipendenti perché nelle trasferte non c'era nessuno ad aiutarti, te la dovevi cavare da solo. Ora è tutto diverso. Nella società moderna è cambiata la mentalità del sacrificio. Poi la crisi economica che da anni gradualmente ha colpito il nostro, come altri settori, ha senz'altro notevolmente contribuito a deviare anche chi aveva volontà e capacità, perché un giovane fondista se non riesce ad entrare in un corpo militare non ha di che vivere.
Qual è il ricordo più bello della tua lunga carriera?
Di ricordi ne ho tanti, tantissimi e bellissimi. In tanti anni di carriera ho imparato che ogni gara, anche la più semplice e meno titolata, ti può sorprendere di emozioni e ricordi. Credo però che non dimenticherò mai l'urlo, il boato del pubblico di Pragelato sul traguardo della 50 km.
E il sogno nel cassetto ancora da realizzare?
Per il fatto che manca da tanto, una medaglia in staffetta ai prossimi Mondiali in Val di Fiemme sarebbe un bellissimo sogno da realizzare, per l'Italia del fondo, per la squadra, per i tifosi, e... Per me!
In vista dei Mondiali in Val di Fiemme, qual è il tuo obiettivo?
Un obiettivo a 40 anni? Mi piacerebbe ben figurare, è ciò che desidero per i prossimi Mondiali nella bellissima Val di Fiemme. Spero di riuscire a esprimermi al meglio delle mie capacità, senza sconti e senza rimpianti. Sono consapevole che conquistare una medaglia sarà di una difficoltà estrema, ma nella vita è “vitale” provarci, mettersi sempre in gioco e dare il meglio per sé stessi e per gli altri, poi ciò che verrà sarà ben accetto.
I Mondiali in Italia rappresentano un evento speciale: che cosa senti di “diverso” in una gara così? Il tifo che ti carica, qualche persona particolare che può venire a seguirti o qualche altro dettaglio?
Il tifo degli appassionati in Italia è splendido, la Val di Fiemme è ormai consacrata nel mondo quale luogo di eventi sportivi internazionali indimenticabili, attirando tantissime persone da tutto il mondo. Certamente un atleta “professionista”, pur apprezzando tutto ciò, deve sapersi staccare dal contesto e concentrarsi con lucidità sull'impegno agonistico. Naturalmente non siamo dei robot insensibili, e a me farebbe piacere che almeno a una gara venisse a vedermi mia moglie. A Torino è venuta solo per la 50 km, chissà che anche stavolta non riesca a portarmi quel pizzico di fortuna che ci vuole sempre nel realizzare le grandi cose.
EuroSport
Stanno per iniziare i Mondiali di Sci Nordico nella suggestiva cornice della Val di Fiemme. Per quanto riguarda lo sci di fondo, l'Italia ha come trascinatore un uomo che ha già visto diverse primavere, ma che non ha ancora intenzione di mollare. E fa bene, perché Giorgio Di Centa è ancora più che competitivo e può dare sempre tanto al movimento italiano. Ecco le sue emozioni in esclusiva per Eurosport.
A 40 anni, sei ancora l’uomo di punta del fondo italiano. E’ gratificante o è una responsabilità pesante?
L'una e l'altra cosa. E' gratificante alla mia età riuscire, con l'impegno costante e la volontà ferrea che mi hanno accompagnato per tutta la mia carriera, riuscire ancora a conseguire risultati da primi dieci in Coppa del Mondo, dove la concorrenza è giovane ma soprattutto di altissimo livello. Credo di dover ringraziare Dio per la dura fibra che mi ha regalato. E' senz'altro una responsabilità per l'esempio che inevitabilmente vengo chiamato a portare alle nuove generazioni, ma non è affatto un peso, la vivo come un dovere sportivo ma anche un privilegio ed è un onore per me.
Qual è il problema per cui in Italia non c’è ricambio e le nuove leve faticano a emergere?
Non c'è un unico problema che ha causato il graduale impoverimento nelle file delle nuove leve che portano ricambio generazionale e la conseguente nascita di nuovi campioni, bensì una serie di circostanze sfavorevoli. La società è profondamente cambiata negli anni, da quando io ero bambino a oggi c'è un abisso. La maggiore scelta di attività per i bambini, la maggiore disponibilità economica ha fatto sì che già da alcuni anni ci fosse una dispersione dei nuovi praticanti. Certamente un'offerta maggiore di campi da esplorare per i nostri figli fornisce nuove opportunità di conoscenza e crescita, ma dall'altra va a sfoltire inevitabilmente quelli che erano i settori tradizionalmente seguiti e praticati nelle nostre comunità montane. Anche un diverso approccio ai piccoli da parte delle famiglie ha reso più difficile la crescita di nuovi fondisti. Quando ero piccolo si andava a sciare ed era un divertimento assoluto, un gioco. Eravamo tantissimi e si giocava sulle piste, ci si bagnava, si prendeva tanto freddo ammalandosi, ci si scannava di fatica negli allenamenti e nelle gare per battersi a vicenda, si imparava ad arrangiarsi e ad essere indipendenti perché nelle trasferte non c'era nessuno ad aiutarti, te la dovevi cavare da solo. Ora è tutto diverso. Nella società moderna è cambiata la mentalità del sacrificio. Poi la crisi economica che da anni gradualmente ha colpito il nostro, come altri settori, ha senz'altro notevolmente contribuito a deviare anche chi aveva volontà e capacità, perché un giovane fondista se non riesce ad entrare in un corpo militare non ha di che vivere.
Qual è il ricordo più bello della tua lunga carriera?
Di ricordi ne ho tanti, tantissimi e bellissimi. In tanti anni di carriera ho imparato che ogni gara, anche la più semplice e meno titolata, ti può sorprendere di emozioni e ricordi. Credo però che non dimenticherò mai l'urlo, il boato del pubblico di Pragelato sul traguardo della 50 km.
E il sogno nel cassetto ancora da realizzare?
Per il fatto che manca da tanto, una medaglia in staffetta ai prossimi Mondiali in Val di Fiemme sarebbe un bellissimo sogno da realizzare, per l'Italia del fondo, per la squadra, per i tifosi, e... Per me!
In vista dei Mondiali in Val di Fiemme, qual è il tuo obiettivo?
Un obiettivo a 40 anni? Mi piacerebbe ben figurare, è ciò che desidero per i prossimi Mondiali nella bellissima Val di Fiemme. Spero di riuscire a esprimermi al meglio delle mie capacità, senza sconti e senza rimpianti. Sono consapevole che conquistare una medaglia sarà di una difficoltà estrema, ma nella vita è “vitale” provarci, mettersi sempre in gioco e dare il meglio per sé stessi e per gli altri, poi ciò che verrà sarà ben accetto.
I Mondiali in Italia rappresentano un evento speciale: che cosa senti di “diverso” in una gara così? Il tifo che ti carica, qualche persona particolare che può venire a seguirti o qualche altro dettaglio?
Il tifo degli appassionati in Italia è splendido, la Val di Fiemme è ormai consacrata nel mondo quale luogo di eventi sportivi internazionali indimenticabili, attirando tantissime persone da tutto il mondo. Certamente un atleta “professionista”, pur apprezzando tutto ciò, deve sapersi staccare dal contesto e concentrarsi con lucidità sull'impegno agonistico. Naturalmente non siamo dei robot insensibili, e a me farebbe piacere che almeno a una gara venisse a vedermi mia moglie. A Torino è venuta solo per la 50 km, chissà che anche stavolta non riesca a portarmi quel pizzico di fortuna che ci vuole sempre nel realizzare le grandi cose.
EuroSport