Contro le previsioni della vigilia, Donald Trump si appresta a diventare il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il risultato del voto non lascia molti margini di dubbio: il tycoon ha conservato le roccaforti repubblicane, ha vinto il confronto negli swing state - in particolare in Ohio e Florida - ed è persino riuscito a fare propri alcuni Stati che sulla carta erano già conteggiati in quota ai democratici. Il quadro che emerge dai risultati è impietoso per Hillary Clinton e il fronte liberal: dopo otto anni di presidenza Obama, il nuovo inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue tornerà ad essere un membro del Great Old Party, per quanto fuori dagli schemi e arrivato al successo malgrado l’ostracismo di una parte del suo stesso partito.ontro le previsioni della vigilia, Donald Trump si appresta a diventare il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il risultato del voto non lascia molti margini di dubbio: il tycoon ha conservato le roccaforti repubblicane, ha vinto il confronto negli swing state - in particolare in Ohio e Florida - ed è persino riuscito a fare propri alcuni Stati che sulla carta erano già conteggiati in quota ai democratici. Il quadro che emerge dai risultati è impietoso per Hillary Clinton e il fronte liberal: dopo otto anni di presidenza Obama, il nuovo inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue tornerà ad essere un membro del Great Old Party, per quanto fuori dagli schemi e arrivato al successo malgrado l'ostracismo di una parte del suo stesso partito.
Il messaggio di Obama Anche il New York Times a quattro ore dalla chiusura dei primi seggi ha riconosciuto le possibilità di vittoria di Trump: le ha date inizialmente al 58% per poi portarle via via fino al 95%. Nelle settimane scorse il borsino del quotidiano dava invece Clinton vincente al 90%. Il presidente uscente, Barack Obama, con un videomessaggio ha esortato gli americani a rimanere uniti, a prescindere dal risultato delle elezioni: «Non importa cosa accadrà - ha detto -. Il sole sorgerà al mattino e l'America rimarrà ancora la più grande nazione al mondo».
Le ripercussioni sui mercati I dati elettorali hanno avuto immediate ripercussioni, decisamente negative, sui mercati finanziari e valutari. Il peso, la valuta messicana termometro delle elezioni americane, è crollato arrivando a perdere il 5% rispetto al dollaro: già nelle settimane scorse era diventato il termometro del voto, con ascese nei momenti favorevoli a Clinton e deprezzamenti quando i sondaggi riportavano in auge Trump, che sul Messico aveva giocato almeno un paio delle sue carte elettorali più pesanti: l'annuncio di un muro al confine con il Messico e l'intenzione di abolire il Nafta, l'accordo di libero scambio firmato da Bill Clinton. Le Borse asiatiche sono state le prime a registrare il segno meno nei listini: Tokyo, dopo l'avvio positivo, ha avuto una brusca inversione di rotta con un tonfo del 5,45%; Hong Kong è arrivato al -3,59%. Segnali negativi sono già arrivati anche da Wall Street, con il calo dei future. E a breve è attesa la reazione delle Borse europee.
Il silenzio di Hillary
Clinton ha scelto di non commentare a caldo. Ha lasciato il compito al capo della sua campagna elettorale, John Podesta, che ha provato a rassicurare i supporter spiegando che «il voto è ancora aperto», che i risultati sono ancora «too close to call», troppo incerti per poter attribuire loro un valore. «Hillary Clinton ha fatto un lavoro incredibile - ha detto con tono inspiegabilmente trionfante dal palco del quartier generale di New York - e ancora non ha finito. Parleremo domani, ora andate tutti a dormire». Ma un quarto d'ora più tardi l'ex segretaria di Stato ha telefonato a Trump e gli ha riconosciuto la vittoria. Del resto non era realistico pensare che ci fosse qualche possibilità di ribaltare, magari con un riconteggio dei voti evocato dal suo staff, un risultato pesante come un macigno che travolge tutto l'establishment democratico: i repubblicani non solo hanno vinto la corsa alla presidenza, hanno anche conservato la maggioranza sia al Senato sia alla Camera dei rappresentanti e si ritrovano dunque di fronte alla prospettiva di almeno un paio d'anni di potere istituzionale assoluto. A questo punto è pure da escludere che la Corte Suprema possa avere una maggioranza progressista, come avrebbe voluto Obama se i senatori non si fossero messi di traverso: il giudice vacante sarà nominato da Trump e sarà di certo un conservatore.Grandi elettori e voto popolare
Trump ha già conquistato i 270 grandi elettori necessari per garantirsi la maggioranza e di conseguenza l'elezione formale a presidente degli Stati Uniti nella riunione del collegio elettorale del prossimo dicembre. La sua avversaria è ferma a 218. Resta da attribuire una manciata di seggi elettorali, in Stati come l'Alaska e l'Arizona in cui i repubblicani dominano e in altri, come il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania, che sulla carta erano dei democratici ma che stavolta sono passati con «The Donald». Anche il voto popolare, vale a dire il consenso complessivo raccolto su scala nazionale al di là del meccanismo di assegnazione dei grandi elettori su base maggioritaria e territoriale, conferma lo stato di grazia di «The Donald»: l'alfiere dei conservatori ha messo insieme il 48,1% delle preferenze, contro il 47,2% della sua contendente.Le battaglie per Florida e Ohio
Per respingere l'assalto di Trump e avere una garanzia di vittoria, Clinton avrebbe dovuto vincere almeno in Florida o in Ohio, mantenendo tutte le posizioni che sulla carta erano già sue. Invece in entrambi gli Stati sono stati i repubblicani a sfondare. E dire che nella prima parte dello spoglio ci avevano anche creduto, i democratici, alla possibilità di chiudere in fretta la partita: Hillary è stata per qualche tempo in testa nel conteggio dei voti. E si erano invece scoraggiati i sostenitori dell'imprenditore: «Ci serve un miracolo per vincere», si è lasciato scappare un consigliere di Trump citato dalla Cnn dopo la diffusione dei primi numeri parziali. Ma più tardi è stata la stessa Hillary a dare il segno del vento - e dell'umore - che stava cambiando, con un tweet postato dopo aver visto le proiezioni relative agli Stati del Midwest, conquistati in blocco al suo avversario: «Questa squadra ha molto di cui essere fiera. Qualunque cosa accada stanotte, grazie di tutto». Le certezze di vittoria della vigilia, insomma, erano svanite.Il messaggio di Obama Anche il New York Times a quattro ore dalla chiusura dei primi seggi ha riconosciuto le possibilità di vittoria di Trump: le ha date inizialmente al 58% per poi portarle via via fino al 95%. Nelle settimane scorse il borsino del quotidiano dava invece Clinton vincente al 90%. Il presidente uscente, Barack Obama, con un videomessaggio ha esortato gli americani a rimanere uniti, a prescindere dal risultato delle elezioni: «Non importa cosa accadrà - ha detto -. Il sole sorgerà al mattino e l'America rimarrà ancora la più grande nazione al mondo».
Le ripercussioni sui mercati I dati elettorali hanno avuto immediate ripercussioni, decisamente negative, sui mercati finanziari e valutari. Il peso, la valuta messicana termometro delle elezioni americane, è crollato arrivando a perdere il 5% rispetto al dollaro: già nelle settimane scorse era diventato il termometro del voto, con ascese nei momenti favorevoli a Clinton e deprezzamenti quando i sondaggi riportavano in auge Trump, che sul Messico aveva giocato almeno un paio delle sue carte elettorali più pesanti: l'annuncio di un muro al confine con il Messico e l'intenzione di abolire il Nafta, l'accordo di libero scambio firmato da Bill Clinton. Le Borse asiatiche sono state le prime a registrare il segno meno nei listini: Tokyo, dopo l'avvio positivo, ha avuto una brusca inversione di rotta con un tonfo del 5,45%; Hong Kong è arrivato al -3,59%. Segnali negativi sono già arrivati anche da Wall Street, con il calo dei future. E a breve è attesa la reazione delle Borse europee.