Era uno dei giornalisti più apprezzati e noti tra quelli che si occupavano di terrorismo politico e fu ucciso perché, come dissero i suoi assassini, «non era un tipo rozzo».
Il suo omicidio, tra le centinaia avvenute nel periodo oggi noto come “Anni di piombo”, tra gli anni Settanta e Ottanta, fu uno di quelli che destarono l’impressione più forte ed è ricordato con emozione ancora oggi. Questa settimana il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il sindaco di Milano Beppe Sala hanno ricordato la morte di Tobagi, così come ha fatto il Corriere della Sera insieme a tutti gli altri quotidiani principali. A Milano la scuola di giornalismo dell’Università porta ancora oggi il suo nome.
Tobagi era un giornalista apprezzato dai colleghi. Equilibrato e attento, aveva scritto a lungo dei movimenti di protesta di quegli anni e poi della violenza e del terrorismo politico. Anche se era tra i più severi critici della lotta armata, cercava allo stesso tempo di comprenderne le cause e le dinamiche sociali che la alimentavano. Come ha ricordato Mattarella, «era un giornalista libero che indagava la realtà oltre gli stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico».
Furono i suoi stessi assassini a spiegare che proprio lo sguardo critico ma profondo di Tobagi li aveva spinti a sceglierlo come bersaglio. In un articolo sul Corriere della Sera, Giovanni Bianconi ha raccontato la confessione resa prima ai magistrati e poi al processo dal fondatore, leader e poi pentito della Brigata XXVIII Marzo, Marco Barbone. Il gruppo non intendeva colpire un giornalista di «tipo rozzo», uno di quelli così acriticamente dalla parte dello Stato che «praticamente incitava a proseguire sulla strada della pena di morte sul campo».
Il suo omicidio, tra le centinaia avvenute nel periodo oggi noto come “Anni di piombo”, tra gli anni Settanta e Ottanta, fu uno di quelli che destarono l’impressione più forte ed è ricordato con emozione ancora oggi. Questa settimana il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il sindaco di Milano Beppe Sala hanno ricordato la morte di Tobagi, così come ha fatto il Corriere della Sera insieme a tutti gli altri quotidiani principali. A Milano la scuola di giornalismo dell’Università porta ancora oggi il suo nome.
Tobagi era un giornalista apprezzato dai colleghi. Equilibrato e attento, aveva scritto a lungo dei movimenti di protesta di quegli anni e poi della violenza e del terrorismo politico. Anche se era tra i più severi critici della lotta armata, cercava allo stesso tempo di comprenderne le cause e le dinamiche sociali che la alimentavano. Come ha ricordato Mattarella, «era un giornalista libero che indagava la realtà oltre gli stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico».
Furono i suoi stessi assassini a spiegare che proprio lo sguardo critico ma profondo di Tobagi li aveva spinti a sceglierlo come bersaglio. In un articolo sul Corriere della Sera, Giovanni Bianconi ha raccontato la confessione resa prima ai magistrati e poi al processo dal fondatore, leader e poi pentito della Brigata XXVIII Marzo, Marco Barbone. Il gruppo non intendeva colpire un giornalista di «tipo rozzo», uno di quelli così acriticamente dalla parte dello Stato che «praticamente incitava a proseguire sulla strada della pena di morte sul campo».