Le squadre di Guidolin e Reja non possono essere più considerate semplici imbucate nella corsa scudetto o comunque per l’Europa che conta. I friulani si godono il primato in attesa di Roma-Juve (diretta Sky 3D anche nei bar)
Ormai non ci sono più dubbi. Classifica e progetti di gioco sono lì a confermarlo. Se ne facciano una ragione quelli che detestano le variabili pazze e lo stravolgimento delle gerarchie tradizionali. Udinese e Lazio non possono essere più considerate semplici imbucate nella corsa scudetto o comunque per l’Europa che conta. Si sono mimetizzate a lungo, dopo l’ultimo turno sono obbligate a pensare in grande, al di là dell’abilità di Guidolin e Reja nell’annacquare, almeno pubblicamente, ambizioni troppo accese.
A maggior ragione se il Milan, vedi soprattutto le amnesie nel secondo tempo di Bologna, tende ad investire energie più sulla caccia all’apache che su quella tabella prenatalizia pianificata da Allegri. Il tecnico nel dopomatch non si è nascosto (complimenti davvero per la schiettezza sul rigore generosamente concesso ad Ibra!), ha parlato chiaro, troppe smagliature dietro, certi errori individuali non sono ammissibili, modesta brillantezza negli ultimi venti metri. Un passo indietro, al di là delle topiche di Rocchi, niente di grave, ma solo invertendo alla svelta la tendenza il Milan può pensare di sprintare da dominatore prima della sosta.
L’Udinese in fuga solitaria, in attesa di Roma-Juve, è invece il trionfo del pragmatismo di Guidolin, capace di far meglio, numeri alla mano, persino dell’anno scorso, quando la sua squadra sollevava ovunque boati di meraviglia. Il successo sul Chievo certifica l’ulteriore crescita di un gruppo che al Friuli si rifiuta di fare prigionieri, continua a sfruttare l’impressionante prolificità di Di Natale, segue il proprio tecnico con commovente dedizione. Ieri primo tempo sottoritmo, non da Udinese, secondo a tavoletta con prestazioni di livello di gente come Ekstrand e Badu ad esaltare la qualità del laboratorio dei Pozzo. Certo, l’organico è limitato, anche in ottica Coppa D’Africa, puntuale tassa che Guidolin sa bene di dover pagare col suo ensemble multietnico, se davvero l’Udinese intende impegnarsi allo spasimo su due fronti, cercando di non snobbare l’Europa League, sarà inevitabile a breve correre ai ripari.
Stessi problemi della Lazio, che a Lecce ha saputo guadagnarsi la benevolenza della sorte con la consueta tenacia esibita nell’emergenza. Anche in Puglia Reja ha giocato senza cinque titolari, a centrocampo è obbligato a sfiancare sempre gli stessi, alcuni anche fuori ruolo, senza contare la crisi d’ispirazione di un Hernanes che ha smesso da tempo di essere il valore aggiunto. Eppure tiene in alta quota una squadra che in trasferta ha vinto cinque partite su sette contando soprattutto sulla scintillante longevità di Klose, al quale Cissè sembra aver nuovamente voglia di offrire la propria collaborazione, l’assist per il 3-2 del tedesco è polaroid che i tifosi laziali hanno già incorniciato.
Identica carineria sfoggiata da quelli nerazzurri per il gol di Pazzini alla Fiorentina, graffio atteso da mesi, così come l’Inter, finalmente più dinamica, meno prevedibile, in grado di spremere corsa e qualità anche dai vegliardi plurititolati, il segnale tanto inseguito che nelle teste dei vari Lucio, Cambiasso, Maicon circola ancora energia positiva. Di certo a Ranieri serve Sneijder come il pane, senza di lui le punta faticano troppo, il pallone devono andare a prenderselo lontano dal loro territorio. Però l’Inter con i viola è sembrata una creatura più definita, una squadra, non una semplice ipotesi come in troppe precedenti circostanze. Giusto evitare proclami, sarebbero ancora fuori luogo, ma la speranza di dare una spallata alla stagione è risbocciata nella notte di San Siro.
Ormai non ci sono più dubbi. Classifica e progetti di gioco sono lì a confermarlo. Se ne facciano una ragione quelli che detestano le variabili pazze e lo stravolgimento delle gerarchie tradizionali. Udinese e Lazio non possono essere più considerate semplici imbucate nella corsa scudetto o comunque per l’Europa che conta. Si sono mimetizzate a lungo, dopo l’ultimo turno sono obbligate a pensare in grande, al di là dell’abilità di Guidolin e Reja nell’annacquare, almeno pubblicamente, ambizioni troppo accese.
A maggior ragione se il Milan, vedi soprattutto le amnesie nel secondo tempo di Bologna, tende ad investire energie più sulla caccia all’apache che su quella tabella prenatalizia pianificata da Allegri. Il tecnico nel dopomatch non si è nascosto (complimenti davvero per la schiettezza sul rigore generosamente concesso ad Ibra!), ha parlato chiaro, troppe smagliature dietro, certi errori individuali non sono ammissibili, modesta brillantezza negli ultimi venti metri. Un passo indietro, al di là delle topiche di Rocchi, niente di grave, ma solo invertendo alla svelta la tendenza il Milan può pensare di sprintare da dominatore prima della sosta.
L’Udinese in fuga solitaria, in attesa di Roma-Juve, è invece il trionfo del pragmatismo di Guidolin, capace di far meglio, numeri alla mano, persino dell’anno scorso, quando la sua squadra sollevava ovunque boati di meraviglia. Il successo sul Chievo certifica l’ulteriore crescita di un gruppo che al Friuli si rifiuta di fare prigionieri, continua a sfruttare l’impressionante prolificità di Di Natale, segue il proprio tecnico con commovente dedizione. Ieri primo tempo sottoritmo, non da Udinese, secondo a tavoletta con prestazioni di livello di gente come Ekstrand e Badu ad esaltare la qualità del laboratorio dei Pozzo. Certo, l’organico è limitato, anche in ottica Coppa D’Africa, puntuale tassa che Guidolin sa bene di dover pagare col suo ensemble multietnico, se davvero l’Udinese intende impegnarsi allo spasimo su due fronti, cercando di non snobbare l’Europa League, sarà inevitabile a breve correre ai ripari.
Stessi problemi della Lazio, che a Lecce ha saputo guadagnarsi la benevolenza della sorte con la consueta tenacia esibita nell’emergenza. Anche in Puglia Reja ha giocato senza cinque titolari, a centrocampo è obbligato a sfiancare sempre gli stessi, alcuni anche fuori ruolo, senza contare la crisi d’ispirazione di un Hernanes che ha smesso da tempo di essere il valore aggiunto. Eppure tiene in alta quota una squadra che in trasferta ha vinto cinque partite su sette contando soprattutto sulla scintillante longevità di Klose, al quale Cissè sembra aver nuovamente voglia di offrire la propria collaborazione, l’assist per il 3-2 del tedesco è polaroid che i tifosi laziali hanno già incorniciato.
Identica carineria sfoggiata da quelli nerazzurri per il gol di Pazzini alla Fiorentina, graffio atteso da mesi, così come l’Inter, finalmente più dinamica, meno prevedibile, in grado di spremere corsa e qualità anche dai vegliardi plurititolati, il segnale tanto inseguito che nelle teste dei vari Lucio, Cambiasso, Maicon circola ancora energia positiva. Di certo a Ranieri serve Sneijder come il pane, senza di lui le punta faticano troppo, il pallone devono andare a prenderselo lontano dal loro territorio. Però l’Inter con i viola è sembrata una creatura più definita, una squadra, non una semplice ipotesi come in troppe precedenti circostanze. Giusto evitare proclami, sarebbero ancora fuori luogo, ma la speranza di dare una spallata alla stagione è risbocciata nella notte di San Siro.