I fondi per il post Tsunami usati per la caccia alle balene
Giappone - Sono diverse le baleniere che, nei giorni scorsi, hanno lasciato il porto di Shimonoseki dirette verso l’Oceano Antartico; ad esse verrà affiancata una motovedetta della Guardia Costiera che cercherà di garantire alle navi la tranquillità per compiere la propria mattanza senza subire gli attacchi degli attivisti di varie associazioni ambientaliste che, negli anni passati, sono riusciti a salvare la vita a moltissimi esemplari tramite azioni di contrasto.
Ma quest’anno la tradizionale caccia alle balene del Giappone non attirerà le critiche della comunità internazionale soltanto perché si tratta di una pratica barbara e, oltretutto, illegale: sulle autorità nipponiche grava la pesante accusa mossa da Greenpeace che ha immediatamente fatto il giro del mondo, destando unanime indignazione;
quella di aver finanziato il programma annuale di caccia nei mari con denaro proveniente da fondi destinati alle vittime del terremoto e del disastro nucleare di Fukushima.
Si tratterrebbe di 2,3 miliardi di yen pari a circa 22 milioni di euro, investiti in misure di sicurezza aggiuntive e per coprire i debiti dellaflotta; le autorità si sarebbero giustificate sostenendo che molti villaggi dipendevano proprio dalla caccia alle balene per la propria sopravvivenza e che molte barche avrebbero subito danni dallo tsunami.
Dunque, ai sensi della legge, il denaro sarebbe stato effettivamente riutilizzato per la ricostruzione post-terremoto.
Una risposta sfacciata così come sfacciato è il modo in cui il Giappone continua a cacciare indisturbato; oltretutto nelle acque antartiche, considerate da Australia e Nuova Zelanda il «santuario internazionale delle balene», dove questi animali dovrebbero godere della protezione da parte delle autorità, grazie anche al loro indiscutibile valore di
attrazione turistica.
Dal 1986, anno in cui entrò in vigore il divieto di uccidere le balene, fino ad oggi sono morte oltre ventimila balene per mano dell’uomo: la moratoria internazionale non ha impedito ad alcuni paesi, tra cui anche Norvegia e Islanda, di continuare illegalmente a cacciare cetacei, tra il biasimo dell’opinione mondiale e non rispettando quanto disposto dalla International Whaling Commission. Le autorità nipponiche hanno sempre tentato di mascherare le loro annuali stragi di balene, con scarsi risultati in verità, dietro il pretesto della «ricerca scientifica».
Giappone - Sono diverse le baleniere che, nei giorni scorsi, hanno lasciato il porto di Shimonoseki dirette verso l’Oceano Antartico; ad esse verrà affiancata una motovedetta della Guardia Costiera che cercherà di garantire alle navi la tranquillità per compiere la propria mattanza senza subire gli attacchi degli attivisti di varie associazioni ambientaliste che, negli anni passati, sono riusciti a salvare la vita a moltissimi esemplari tramite azioni di contrasto.
Ma quest’anno la tradizionale caccia alle balene del Giappone non attirerà le critiche della comunità internazionale soltanto perché si tratta di una pratica barbara e, oltretutto, illegale: sulle autorità nipponiche grava la pesante accusa mossa da Greenpeace che ha immediatamente fatto il giro del mondo, destando unanime indignazione;
quella di aver finanziato il programma annuale di caccia nei mari con denaro proveniente da fondi destinati alle vittime del terremoto e del disastro nucleare di Fukushima.
Si tratterrebbe di 2,3 miliardi di yen pari a circa 22 milioni di euro, investiti in misure di sicurezza aggiuntive e per coprire i debiti dellaflotta; le autorità si sarebbero giustificate sostenendo che molti villaggi dipendevano proprio dalla caccia alle balene per la propria sopravvivenza e che molte barche avrebbero subito danni dallo tsunami.
Dunque, ai sensi della legge, il denaro sarebbe stato effettivamente riutilizzato per la ricostruzione post-terremoto.
Una risposta sfacciata così come sfacciato è il modo in cui il Giappone continua a cacciare indisturbato; oltretutto nelle acque antartiche, considerate da Australia e Nuova Zelanda il «santuario internazionale delle balene», dove questi animali dovrebbero godere della protezione da parte delle autorità, grazie anche al loro indiscutibile valore di
attrazione turistica.
Dal 1986, anno in cui entrò in vigore il divieto di uccidere le balene, fino ad oggi sono morte oltre ventimila balene per mano dell’uomo: la moratoria internazionale non ha impedito ad alcuni paesi, tra cui anche Norvegia e Islanda, di continuare illegalmente a cacciare cetacei, tra il biasimo dell’opinione mondiale e non rispettando quanto disposto dalla International Whaling Commission. Le autorità nipponiche hanno sempre tentato di mascherare le loro annuali stragi di balene, con scarsi risultati in verità, dietro il pretesto della «ricerca scientifica».