Meglio cominciare ad abituarsi subito, al colpo d’occhio della demo single player di Medal of Honor Warfighter. Oltre a offrire una buona testimonianza di cosa possa fare il Frostbite 2 con più cura e pulizia e un bel po’ di cavalli vapore sotto il cofano (anche se al timone non ci sono i “titolari” DICE ma lo studio EA Danger Close), la demo presentata nel corso della conferenza EA (e riportata a fine paragrafo) offre uno scorcio concretissimo del futuro delle console. Che ha esattamente il volto del PC gaming high-end che trovi in negozio.
UN FROSTBITE NELLA FONDINA
Warfighter segna il passaggio dell’intero progetto nelle mani di Danger Close dopo lo sviluppo “condiviso” del primo capitolo, per il quale il multiplayer fu curato da DICE. A differenza del primo Medal of Honor, inoltre, entrambe le anime del progetto adesso sono sviluppate sulla piattaforma Frostbite 2. Il salto più significativo è ovviamente visibile nel single player, che nel titolo del 2010 era portato a schermo da un Unreal Engine un po’ barcollante, mentre ora beneficia degli effetti di illuminazione del motore di punta di EA, della distruttibilità delle coperture, e risulta sensibilmente più pulito nella resa su schermo rispetto a Battlefield 3. La scelta di differenziare graficamente il titolo dallo sparatutto DICE, inoltre, si è tradotta nell’adozione di uno stile di fotografia forse meno caratteristico e riconoscibile, ma anche meno stucchevolmente desaturato e sovraesposto, e in definitiva più piacevole e naturale.
GRUPPO VACANZE MAKO
Gli scenari mostrati nel corso degli ultimi mesi hanno guadagnato da questa scelta una maggiore varietà, cosa che certamente aiuterà nel dare carattere alle varie zone di guerra ritratte nel gioco, tutte legate – il team non perde occasione di sottolinearlo – su zone di guerra tristemente attuali. Al momento è noto che il Team Mako, la strikeforce nella quale sono inseriti i protagonisti, parteciperà ad azioni contro le basi del gruppo separatista islamico Abu Sayyaf’s nelle Filippine (qualcuno ricorderà le sequenze notturne in gommone del primo trailer, ambientate in una Isabela City inondata), le milizie somale di Al-Shabaab (contro le quali si entra in azione nella demo del filmato) o a incursioni contro le Pirate Town sulle coste della Somalia. Le azioni, ha rivelato l’ Executive Producer Greg Goodrich, saranno ancorate alla realtà dalla consulenza dei team che ne sono stati protagonisti, ove questo sia reso possibile da ovvie necessità di segreto militare. L’esempio portato è quello del rapimento del Capitano Richard Phillips da parte di un gruppo di pirati somali, risolto da nell’aprile del 2009 (qui la cronaca) da un triplo headshot simultaneo sparato da una barca all’altra in condizioni di mare agitato da un team di SEALs. Questo evento, al pari simili sfoggi di prodezza bellica, è stato ricostruito nel gioco. La storia del gioco non mancherà di gettare un occhio sulla non facile vita privata dei militari di carriera stanziati in zone di guerra, con intermezzi (qualcosa si è sentito nei primi trailer) che raccontano le difficoltà delle famiglie, delle mogli, a gestire giorni pieni di ansia e paura nei quali non arrivano notizie se non dai telegiornali. Va da sé che la scelta di ancorare le vicende del gioco nella cronaca non mancherà di lasciare interdetto qualcuno quanto all’opportunità, ma almeno bisogna concedere il beneficio del dubbio al team, alla luce della discreta sensibilità dimostrata nel primo capitolo e della volontà di parlare anche del lato “umano” della guerra. Se la cosa verrà gestita con un minimo di maturità potrebbe risultare quantomeno interessante.
Warfighter segna il passaggio dell’intero progetto nelle mani di Danger Close dopo lo sviluppo “condiviso” del primo capitolo, per il quale il multiplayer fu curato da DICE. A differenza del primo Medal of Honor, inoltre, entrambe le anime del progetto adesso sono sviluppate sulla piattaforma Frostbite 2. Il salto più significativo è ovviamente visibile nel single player, che nel titolo del 2010 era portato a schermo da un Unreal Engine un po’ barcollante, mentre ora beneficia degli effetti di illuminazione del motore di punta di EA, della distruttibilità delle coperture, e risulta sensibilmente più pulito nella resa su schermo rispetto a Battlefield 3. La scelta di differenziare graficamente il titolo dallo sparatutto DICE, inoltre, si è tradotta nell’adozione di uno stile di fotografia forse meno caratteristico e riconoscibile, ma anche meno stucchevolmente desaturato e sovraesposto, e in definitiva più piacevole e naturale.
GRUPPO VACANZE MAKO
Gli scenari mostrati nel corso degli ultimi mesi hanno guadagnato da questa scelta una maggiore varietà, cosa che certamente aiuterà nel dare carattere alle varie zone di guerra ritratte nel gioco, tutte legate – il team non perde occasione di sottolinearlo – su zone di guerra tristemente attuali. Al momento è noto che il Team Mako, la strikeforce nella quale sono inseriti i protagonisti, parteciperà ad azioni contro le basi del gruppo separatista islamico Abu Sayyaf’s nelle Filippine (qualcuno ricorderà le sequenze notturne in gommone del primo trailer, ambientate in una Isabela City inondata), le milizie somale di Al-Shabaab (contro le quali si entra in azione nella demo del filmato) o a incursioni contro le Pirate Town sulle coste della Somalia. Le azioni, ha rivelato l’ Executive Producer Greg Goodrich, saranno ancorate alla realtà dalla consulenza dei team che ne sono stati protagonisti, ove questo sia reso possibile da ovvie necessità di segreto militare. L’esempio portato è quello del rapimento del Capitano Richard Phillips da parte di un gruppo di pirati somali, risolto da nell’aprile del 2009 (qui la cronaca) da un triplo headshot simultaneo sparato da una barca all’altra in condizioni di mare agitato da un team di SEALs. Questo evento, al pari simili sfoggi di prodezza bellica, è stato ricostruito nel gioco. La storia del gioco non mancherà di gettare un occhio sulla non facile vita privata dei militari di carriera stanziati in zone di guerra, con intermezzi (qualcosa si è sentito nei primi trailer) che raccontano le difficoltà delle famiglie, delle mogli, a gestire giorni pieni di ansia e paura nei quali non arrivano notizie se non dai telegiornali. Va da sé che la scelta di ancorare le vicende del gioco nella cronaca non mancherà di lasciare interdetto qualcuno quanto all’opportunità, ma almeno bisogna concedere il beneficio del dubbio al team, alla luce della discreta sensibilità dimostrata nel primo capitolo e della volontà di parlare anche del lato “umano” della guerra. Se la cosa verrà gestita con un minimo di maturità potrebbe risultare quantomeno interessante.
