Napoli, per scacciare i rom si rivolsero ai clan
Incendiato il campo su ordine delle famiglie.
Non volevano che i bimbi rom frequentassero la scuola diove andavano anche i loro figli. Così alcune famiglie di Napoli si rivolsero ai clan. I malviventi però risolsero il problema a modo loro: appiccando il fuoco all'accampamento e costringendo i nomadi ad andarsene. L'episodio risale al dicembre del 2010 in via Emanuele Gianturco, non distante dal Palazzo di Giustizia.
ARRESTATE 18 PERSONE. Dopo due anni sono finiti in manette 18 persone e, a quattro, Domenico Casella, Alfonso Di Giovanni, Emanuele Virente e Maurizio Virente, è stato anche contestato il reato di incendio doloso. L'incendio, che solo per un caso non ebbe conseguenze tragiche, è stato ricostruito nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Egle Pilla su richiesta del pm Vincenzo D'Onofrio. Fondamentali sono state le dichiarazioni di una coppia di coniugi, Costel Constantin e Mariana Octavian, rintracciati dai carabinieri dopo che, terrorizzati, avevano lasciato l'accampamento.
Dall'incendio furono salvati due bambini disabili
Secondo le ricostruzioni degl inquirenti nel novembre di due anni fa, una donna rom si rivolse alla dirigente dell'istituto comprensivo «Ruggero Bonghi» per iscrivere i figli a scuola. Si tarttava di cinque bambini dai cinque ai dodici anni. Un nutrito gruppo di genitori italiani però protestò. A nulla valsero le rassicurazioni della dirigente che promise di provvedere personalmente a curare l'iter per la profilassi sanitaria obbligatoria e organizzò un incontro per fornire rassicurazioni.Per facilitare l'inserimento in classe dei bambini rom, sarebbero stati impiegati assistenti sociali e insegnanti di sostegno. I genitori italiani si rivolsero ai boss del clan Circone-Casella, attivo nella zona di Poggioreale.
PICCHIATI GLI UOMINI DEL CAMPO. I nomadi furono prima minacciati. «Qua nel rione non dovete mandare più i vostri figli a scuola. Se li volete far studiare li dovete mandare lontano da qui» hanno ricordato i testimoni. Poi arrivò l'incendio. «Verso le 21 fecero irruzione all'interno del campo cinque o sei persone su tre moto che cominciarono a gridare: 'Tutti i bambini fuori, tutti i bambini fuori!», ha raccontato Costel Constantin «Due uomini iniziarono a picchiare sia me sia gli altri uomini del campo. Dopo averci pestato, un altro soggetto prese una tanica di benzina e la gettò all'interno della nostra baracca». Il racconto è sempre più drammatico «Addirittura il liquido venne cosparso anche sugli arti inferiori di mia moglie, che riuscì a salvarsi per miracolo. Una volta gettato il liquido, sempre questa persona accese una fiamma che in pochi minuti distrusse le nostre baracche. Tengo a precisare che solo per un caso fortuito abbiamo salvato due bambini disabili».
LA MINACCIA DEL CLAN. La mattina successiva l'ultimatum dei clan. «Dovete andare via perchè il rione è piccolo e non vi vogliamo. Per colpa vostra girano troppe forze di polizia. Se non andate via, io e i miei fratelli non vi daremo pace. Avete tempo tre giorni: se non andate via torneremo e questa volta non ci sarà solo il fuoco: spareremo a tutti, sia grandi che bambini. Non stiamo scherzando». I rom non se lo fecero ripetere. Andarono via tutti, molti tornarono in Romania.
Incendiato il campo su ordine delle famiglie.
Non volevano che i bimbi rom frequentassero la scuola diove andavano anche i loro figli. Così alcune famiglie di Napoli si rivolsero ai clan. I malviventi però risolsero il problema a modo loro: appiccando il fuoco all'accampamento e costringendo i nomadi ad andarsene. L'episodio risale al dicembre del 2010 in via Emanuele Gianturco, non distante dal Palazzo di Giustizia.
ARRESTATE 18 PERSONE. Dopo due anni sono finiti in manette 18 persone e, a quattro, Domenico Casella, Alfonso Di Giovanni, Emanuele Virente e Maurizio Virente, è stato anche contestato il reato di incendio doloso. L'incendio, che solo per un caso non ebbe conseguenze tragiche, è stato ricostruito nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Egle Pilla su richiesta del pm Vincenzo D'Onofrio. Fondamentali sono state le dichiarazioni di una coppia di coniugi, Costel Constantin e Mariana Octavian, rintracciati dai carabinieri dopo che, terrorizzati, avevano lasciato l'accampamento.
Dall'incendio furono salvati due bambini disabili
Secondo le ricostruzioni degl inquirenti nel novembre di due anni fa, una donna rom si rivolse alla dirigente dell'istituto comprensivo «Ruggero Bonghi» per iscrivere i figli a scuola. Si tarttava di cinque bambini dai cinque ai dodici anni. Un nutrito gruppo di genitori italiani però protestò. A nulla valsero le rassicurazioni della dirigente che promise di provvedere personalmente a curare l'iter per la profilassi sanitaria obbligatoria e organizzò un incontro per fornire rassicurazioni.Per facilitare l'inserimento in classe dei bambini rom, sarebbero stati impiegati assistenti sociali e insegnanti di sostegno. I genitori italiani si rivolsero ai boss del clan Circone-Casella, attivo nella zona di Poggioreale.
PICCHIATI GLI UOMINI DEL CAMPO. I nomadi furono prima minacciati. «Qua nel rione non dovete mandare più i vostri figli a scuola. Se li volete far studiare li dovete mandare lontano da qui» hanno ricordato i testimoni. Poi arrivò l'incendio. «Verso le 21 fecero irruzione all'interno del campo cinque o sei persone su tre moto che cominciarono a gridare: 'Tutti i bambini fuori, tutti i bambini fuori!», ha raccontato Costel Constantin «Due uomini iniziarono a picchiare sia me sia gli altri uomini del campo. Dopo averci pestato, un altro soggetto prese una tanica di benzina e la gettò all'interno della nostra baracca». Il racconto è sempre più drammatico «Addirittura il liquido venne cosparso anche sugli arti inferiori di mia moglie, che riuscì a salvarsi per miracolo. Una volta gettato il liquido, sempre questa persona accese una fiamma che in pochi minuti distrusse le nostre baracche. Tengo a precisare che solo per un caso fortuito abbiamo salvato due bambini disabili».
LA MINACCIA DEL CLAN. La mattina successiva l'ultimatum dei clan. «Dovete andare via perchè il rione è piccolo e non vi vogliamo. Per colpa vostra girano troppe forze di polizia. Se non andate via, io e i miei fratelli non vi daremo pace. Avete tempo tre giorni: se non andate via torneremo e questa volta non ci sarà solo il fuoco: spareremo a tutti, sia grandi che bambini. Non stiamo scherzando». I rom non se lo fecero ripetere. Andarono via tutti, molti tornarono in Romania.