“Mai usato insulina su di lui”. I legali: chiediamo i domiciliari
TORINO
Due ore di interrogatorio, a tratti teso, ma in un clima sereno. L’infermiera che avrebbe tentato di avvelenare il figlio con dosi di insulina per attirare l’attenzione di familiari e e medici si difende con la forza della disperazione: «Non ho mai somministrato insulina a mio figlio, stavamo seguendo una terapia, un tentativo di aiutare mio figlio a superare il suo stato di debilitazione, non ho mai voluto fargli del male, di certo da tempo non sta bene, non ho mai perso la speranza di farlo tornare un bambino sano».
Chiesti i domiciliari
Il gip Roberta Vicini s’è riservata di decidere nelle prossime ore, in merito alla conferma o no dell’arresto disposto dai pm delle fasce deboli della procura il 9 agosto scorso. I difensori di fiducia, Luca Dalla Torre ed Emiliana Olivieri hanno chiesto che la donna lasci il carcere delle Vallette, dove è in isolamento, per gli arresti domiciliari nella casa paterna.
Solo preoccupazione
Il padre, che l’aiutava a crescere il piccolo, è stato sentito nei giorni scorsi e ha cercato di confermare la tesi difensiva della figlia, cioè che era così preoccupata delle precarie condizioni del piccolo da indurla a cercare nuove terapie, consulti continui con diversi medici, con speranze che si alternavano a un senso d impotenza e di disperazione. Negli ultimi giorni temeva che il bimbo fosse dimesso nonostante fosse, almeno in apparenza, ancora malato. «Mia figlia - ha detto il padre - è una madre apprensiva ma attenta al benessere del piccolo, non gli ha mai fatto mancare niente e aveva solo un sogno, che guarisse al più presto».
Il trasferimento
L’infermiera torinese, che presta servizio nel reparto di Medicina di un ospedale della cintura torinese, aveva lasciato il suo posto di lavoro per farsi trasferire lontano da Torino. È stata arrestata con l’accusa di avere provocato un artificiale stato di torpore e di apparente sofferenza al figlio di 4 anni inserendo, nel flacone della flebo, monodosi di insulina, contenute in una fiala e altre sostanze, tutti in quantitativi minimi, per creargli una specie di malessere teleguidato con cura e precisione, per evitare - se le accuse saranno confermate - i danni più gravi. La donna potrebbe essere sottoposta a una perizia psichiatrica e altri accertamenti riguardano lo stato di salute del piccolo, che non ha ancora riassorbito un edema cerebrale, probabilmente causato dall’insulina.
Sfida ai medici
Dopo l’interrogatorio di garanzia l’infermiera professionale è ritornata nella cella delle Vallette, sezione nuovi giunti, dove si trova in totale isolamento e sorvegliata 24 ore su 24 per evitare che possa tentare il suicidio. L’ipotesi più probabile è che la donna sia rimasta vittima della «sindrome di Munchhausen per procura», quando una persona tenta di arrecare danni alla salute di un familiare o di un amico per attirare l’attenzione su di sé da parte del suo ambiente sociale; quasi una sorta di sfida ai medici per costringerli a dedicare tutte le loro energie al malato al centro di un affetto totalizzante.
«Presto per giudicare»
L’avvocato Emiliana Olivieri spiega che «c’è ancora bisogno di tempo per approfondire una vicenda dolorosa e complessa, bisogna capire cosa può essere stato l’interrogatorio per una donna incensurata che si trova in carcere e che ha lasciato il suo bimbo in ospedale. Crediamo che l’opzione dei domiciliari sia la scelta più auspicabile in questa situazione, per dare il tempi agli inquirenti di svolgere tutti gli accertamenti di un caso così doloroso. Non mi risulta l’affidamento di una perizia psichiatrica, siamo ancora nella fase preliminare dell’inchiesta. Di certo c’è che la mia cliente si proclama innocente ed è troppo presto per trarre delle conclusioni su quanto è accaduto».
TORINO
Due ore di interrogatorio, a tratti teso, ma in un clima sereno. L’infermiera che avrebbe tentato di avvelenare il figlio con dosi di insulina per attirare l’attenzione di familiari e e medici si difende con la forza della disperazione: «Non ho mai somministrato insulina a mio figlio, stavamo seguendo una terapia, un tentativo di aiutare mio figlio a superare il suo stato di debilitazione, non ho mai voluto fargli del male, di certo da tempo non sta bene, non ho mai perso la speranza di farlo tornare un bambino sano».
Chiesti i domiciliari
Il gip Roberta Vicini s’è riservata di decidere nelle prossime ore, in merito alla conferma o no dell’arresto disposto dai pm delle fasce deboli della procura il 9 agosto scorso. I difensori di fiducia, Luca Dalla Torre ed Emiliana Olivieri hanno chiesto che la donna lasci il carcere delle Vallette, dove è in isolamento, per gli arresti domiciliari nella casa paterna.
Solo preoccupazione
Il padre, che l’aiutava a crescere il piccolo, è stato sentito nei giorni scorsi e ha cercato di confermare la tesi difensiva della figlia, cioè che era così preoccupata delle precarie condizioni del piccolo da indurla a cercare nuove terapie, consulti continui con diversi medici, con speranze che si alternavano a un senso d impotenza e di disperazione. Negli ultimi giorni temeva che il bimbo fosse dimesso nonostante fosse, almeno in apparenza, ancora malato. «Mia figlia - ha detto il padre - è una madre apprensiva ma attenta al benessere del piccolo, non gli ha mai fatto mancare niente e aveva solo un sogno, che guarisse al più presto».
Il trasferimento
L’infermiera torinese, che presta servizio nel reparto di Medicina di un ospedale della cintura torinese, aveva lasciato il suo posto di lavoro per farsi trasferire lontano da Torino. È stata arrestata con l’accusa di avere provocato un artificiale stato di torpore e di apparente sofferenza al figlio di 4 anni inserendo, nel flacone della flebo, monodosi di insulina, contenute in una fiala e altre sostanze, tutti in quantitativi minimi, per creargli una specie di malessere teleguidato con cura e precisione, per evitare - se le accuse saranno confermate - i danni più gravi. La donna potrebbe essere sottoposta a una perizia psichiatrica e altri accertamenti riguardano lo stato di salute del piccolo, che non ha ancora riassorbito un edema cerebrale, probabilmente causato dall’insulina.
Sfida ai medici
Dopo l’interrogatorio di garanzia l’infermiera professionale è ritornata nella cella delle Vallette, sezione nuovi giunti, dove si trova in totale isolamento e sorvegliata 24 ore su 24 per evitare che possa tentare il suicidio. L’ipotesi più probabile è che la donna sia rimasta vittima della «sindrome di Munchhausen per procura», quando una persona tenta di arrecare danni alla salute di un familiare o di un amico per attirare l’attenzione su di sé da parte del suo ambiente sociale; quasi una sorta di sfida ai medici per costringerli a dedicare tutte le loro energie al malato al centro di un affetto totalizzante.
«Presto per giudicare»
L’avvocato Emiliana Olivieri spiega che «c’è ancora bisogno di tempo per approfondire una vicenda dolorosa e complessa, bisogna capire cosa può essere stato l’interrogatorio per una donna incensurata che si trova in carcere e che ha lasciato il suo bimbo in ospedale. Crediamo che l’opzione dei domiciliari sia la scelta più auspicabile in questa situazione, per dare il tempi agli inquirenti di svolgere tutti gli accertamenti di un caso così doloroso. Non mi risulta l’affidamento di una perizia psichiatrica, siamo ancora nella fase preliminare dell’inchiesta. Di certo c’è che la mia cliente si proclama innocente ed è troppo presto per trarre delle conclusioni su quanto è accaduto».